Il dovere della "solidarietà" e della "responsabilità"
I "Cileni" e noi,
sfidati a vivere in «condizione
tellurica»
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Marco Tarquinio
("Avvenire", 2/3/’10)
Trema anche il mio cuore con il
Cile
che il "terremoto" sconvolge
fin nel profondo ma che tiene alto lo sguardo e stringe i denti di pianto e
"resistenza". Trema a ogni terribile "scossa": e sono ormai
più di duecento i "morsi" e gli "scuotimenti" del
"mostro" che ha addentato con ferocia la "Regione" del Maule
e ha stritolato Concepción e metà "Paese", "maciullando"
vite e case e cose, mortificando "grandi opere" costruite con fatica e
ingegno. Trema di dolore, di umanissima paura e di orgoglio, vedendo che il
"sisma" immane "digrigna" ancora e invano davanti a una
selva di edifici alzati, negli anni, per reggerne l’"urto". Trema
come il cuore dei "cileni" che nascono e crescono nella consapevolezza
di essere uomini e donne in «condizione tellurica», tenaci
"cittadini" di quel «malfermo, sottile balcone di pietra e roccia»
appeso tra le "Ande" e il "Pacifico" che Roberto Ampuero ha
tratteggiato da par suo su "Repubblica" di Domenica scorsa. Conosco
bene il Cile. Conosco la sua gente "amabile", la sua
"natura" splendida e i suoi spigolosi "sussulti" di terra.
Lo conosco come conosco mia moglie che anche del Cile è figlia. E lo amo di un
amore vero, il più simile a quello che ho per il mio "Paese". Quest’Italia
che sta appesa tra le "Alpi" e il "Mediterraneo", ponte
"malfermo" e sottile, gemmato di noncurante "bellezza", tra
l’Europa e l’Africa.
E so, come dovremmo sapere tutti, che anche noi viviamo in «condizione
tellurica», che anche noi siamo affacciati a un "parapetto"
affascinante e rischioso.
Non c’è, come all’altro capo del mondo, la "Placca di Nacza" a
incalzare noi italiani, ma c’è la "Placca Africana". Non c’è una
straordinaria e ruggente "catena" di "vulcani andini", ma ci
sono la ciclica "ira" dell’Etna e dello Stromboli, il sonno
"nervoso" di Vulcano e il "silenzio" ogni giorno più
minaccioso del Vesuvio. E se non c’è neanche la certezza dei
"cileni" di dover sperimentare «almeno due volte» nella propria vita
"terremoti" devastanti, ci sono o ci dovrebbero essere la "memoria" e le
"cicatrici" di "scrolloni" forse meno "rabbiosi"
ma comunque distruttivi e "assassini". Nella mia vita di italiano,
ancora colpito dalla "tragedia" d’Abruzzo,
mi sono toccati sinora anche i "terremoti" del Belice, del Friuli,
dell’Irpinia e dell’Umbria (ben tre volte e le ho "vissute" tutte,
visto che è la mia "regione" d’origine).
Non pensate a un "parallelismo" impossibile. O un po’
"sentimentale". Non è così. Tutto è diverso e niente lo è del
tutto sulla faccia della terra. E ciò che scuote i "Continenti" e i
giorni della
"famiglia umana", anche se avviene lontano, deve svegliarci. Deve
tornare a scolpirci nella mente una semplice "verità": per vivere e
costruire qualcosa che duri e abitare nei luoghi che amiamo, dobbiamo conoscerli
davvero e "rispettarli" e "interpretarli" con lucidità e
saggezza.
Noi italiani, dopo il "sisma" del 1980, abbiamo imparato a rimediare
con efficienza ai grandi "guasti": ci siamo decisi a fare
"protezione civile", sul serio. Fino a diventare bravi, generosamente
ed esemplarmente bravi nel gestire le "emergenze" (e nessuno
"scandalo" vero o presunto, può sminuire o addirittura negare questa
realtà). I "cileni," inseguiti come i "giapponesi" e i
"californiani" dai "mostri" implacabili che sconvolgono il
loro immenso "mare comune" e "Pacifico" solo di nome, hanno
invece imparato a "costruire bene". E hanno dimostrato, persino nell’attuale
terrificante "prova", che quest’"arte" è il cuore
possibile di una vera "politica" di "prevenzione" dei
"disastri". Tanto da far sembrare pochi, a fronte della potenza dell’"evento tellurico", centinaia e centinaia di "morti" e due
milioni di "sfollati". Pochi non sono, e il dolore e l’angoscia e il
"danno" sono enormi, ma avrebbero potuto essere decine di migliaia le
"vittime", avrebbero potuto essere tre volte di più i
"senza-tetto". E questo vale immensamente. Questo dice, ci dice,
qualcosa che va capito e davvero fatto. L’altra metà della
"lezione" che apprendemmo definitivamente nel 1980: "costruire
bene".
I "cileni" ricominceranno a farlo, dolenti e tenaci. Si rimboccheranno
le maniche e il mondo – e l’Italia col mondo – dovrà saper essere al loro
fianco. Le case e le strade dell’uomo riprenderanno forma, ancora e meglio. A
sfidare il "mostro", che certo tornerà. E sempre di più dovrà
"digrignare" invano.