Dalla
sorpresa dei genitori di fronte alla sua vocazione,
alla «paura» di non potere più tornare nella sua Africa:
il percorso umano e cristiano della suora martire della Consolata.
In un libro, la storia della religiosa uccisa in Somalia l'anno scorso.
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Il sangue di suor
Leonella Sgorbati,
missionaria della Consolata uccisa a Mogadiscio a colpi di arma da fuoco il 17
settembre dell'anno scorso, ha bagnato la stessa terra di Somalia
su cui era già stato versato quello di monsignor
Salvatore Colombo,
eliminato con un colpo al cuore nel cortile della cattedrale, di Graziella
Fumagalli, medico
al servizio della "Caritas Italiana", di Annalena
Tonelli,
missionaria laica che guariva folle di tubercolotici. Tutti assassinati come
martiri, nel senso più vero di un termine che significa innanzitutto
"testimoni": anche suor Leonella, al secolo Rosa Maria, nata nel 1940
a Rezzanello, nel Piacentino, aveva fatto della sua vita una storia di
testimonianza, spesa per oltre un trentennio in quell'Africa che ormai sentiva
la sua terra e in cui ha voluto essere sepolta. Aveva 16 anni quando comunicò a
sua madre l'intenzione di servire Dio e gli uomini come missionaria, «ne
riparleremo quando ne avrai 20» si sentì rispondere, e imperturbabile, quattro
anni dopo, si presentò all'appuntamento: «Ho 20 anni e non ho cambiato idea»,
le disse.
Seguirono intensi studi in Inghilterra e in Africa per diventare infermiera e
specializzarsi nell'arte medica. Per farlo, scelse di entrare tra le
"Missionarie della Consolata", fondate dal beato Giuseppe Allamano,
che non a caso aveva lasciato scritte queste parole: «Noi missionari siamo
votati a dare la vita per l'umanità. Dovremmo servire la missione anche a costo
della vita, contenti di morire sulla breccia». Parole che suor Leonella prese
alla lettera, senza eroismi, con serena consapevolezza.
Impariamo a conoscerla così, di giorno in giorno, attraverso i fatti concreti e
i suoi scritti, ma anche i tanti racconti di chi lavorò al suo fianco, tutti
riportati in un libro di Eugenio Fornasari, il cui titolo riassume le due
coordinate dell'universo missionario della religiosa: «Sacrificio e Perdono»
(edizioni "Agami"). In quelle pagine incontriamo un'infanzia segnata
dalla morte prematura dell'amato padre, i ricordi di amici e parenti, i primi
passi di una vocazione sempre sicura: «L'unica sua paura era quella che la
congregazione la richiamasse in Italia», dice il cugino Giuseppe. E l'anziano
parroco di Rezzanello, don Francesco Bonzanini, spiega: «Preferiva rinunciare
alle vacanze in Italia per il timore che non la lasciassero più ripartire».
Eppure, donna concreta e pragmatica, conoscitrice del mondo e dei suoi abissi,
era del tutto conscia dei pericoli cui andava quotidianamente incontro, come si
desume dalle righe più intime, quelle scritte alle amiche o consorelle in
Italia, mentre faceva «la pendolare» tra Kenya e Somalia: «Noi suore andiamo
all'ospedale "S.O.S." di fronte al villaggio scortate da ben due
guardie - racconta all'amica Maria esattamente il 16 settembre del 2005, un anno
prima del suo assassinio - . Questo ti dice qualcosa circa la situazione...
Qualche anno fa una nostra suora è stata rapita ma poi rilasciata dopo alcuni
giorni perché le donne, saputo il luogo dove la tenevano, hanno circondato la
casa e mantenuto l'assedio per giorni e notti...». Lo avrebbero fatto di certo
anche per lei, e non solo le donne: le suore della Consolata erano venerate
dalla popolazione somala, come dimostrano i documenti riportati con dovizia di
particolari dall'autore del libro, "classe 1915", conterraneo della
religiosa, sacerdote paolino, giornalista, scrittore con 41 titoli al suo
attivo, biografo convinto che nei santi esista quella sinergia unica e
irripetibile tra la volontà e la grazia. Lo avrebbero fatto anche per lei -
dicevamo - ma non ne hanno avuto il tempo: suor Leonella non è stata rapita, le
hanno sparato sette colpi di pistola, uno dei quali le ha lacerato il cuore. È
morta dissanguata insieme a quello che padre Fornasari chiama il suo "angelo
custode", il musulmano Mohamed Mahamud, guardia del corpo, che si gettò tra lei
e gli spari perdendo la vita e lasciando quattro orfani.
Difficile ammettere che quella di suor Leonella Sgorbati alla fine è una storia
"bella", eppure è così: sarà la serenità, persino l'umorismo con
cui andava incontro alla vita, sarà il bene profondo in cui tutto ciò che la
toccava si convertiva... fatto sta che ciò che resta, alla fine della lettura,
non è il sapore amaro di un dramma ma quello consolante di una speranza che è
sempre in agguato e ci attende dove meno ci si aspetta. «Suor Leonella e
Mohamed lasciano un messaggio - ricorda l'autore - : cristiani e musulmani che
cercano di condividere la vita devono mettere in conto la possibilità di unire
il proprio sangue nel martirio».
Alla sua morte Papa Benedetto XVI usò la parola «sacrificio». I somali che la
amavano parlarono di «un cielo senza più stelle». Chiamava «sogni» le sue
due creature, l'unico ospedale pediatrico di tutta la Somalia e la scuola per
infermieri professionali riconosciuta dall'"Oms", che ha già creato
il primo gruppo di giovani diplomati. Ma il suo obiettivo più grande era
spendersi per gli altri: «Non abbiamo che una vita da donare - ripeteva - ,
doniamola senza esitare: chi dà la sua vita la ritroverà. Dopo la nostra morte
solo l'amore sopravviverà». Nel suo ospedale i bambini di Somalia continuano a
nascere.