Le ferie
sono il tempo ideale per scoprire se viviamo i rapporti umani in modo autentico
e per dedicarsi alla preghiera nell'ascolto del creato.
ENZO
BIANCHI
("Avvenire",
14/7/’07)
Nonostante il
diversificarsi dell'organizzazione del lavoro, la precarietà di molti impieghi,
il moltiplicarsi di offerte allettanti durante l'intero arco dell'anno, l'estate
rimane, complice anche il calendario scolastico, il tempo delle vacanze per
eccellenza. Realtà ignota alla stragrande maggioranza della popolazione nelle
società agricole di ieri e di oggi, nel nostro occidente industrializzato e dei
servizi, la vacanza assomiglia per molti a un obbligo morale, a un dovere che si
cerca di assolvere nel modo meno scontato possibile.
Non solo, ma quella delle vacanze e del tempo libero è diventata una vera e
propria "industria", un fenomeno socio-economico che si autoalimenta e
che conosce intrecci curiosi: così la vacanza degli uni è lavoro per gli
altri, negli stessi posti e nel medesimo tempo. Ma per chi ha la possibilità di
viverle, le vacanze sono giorni in cui può "vacare", cioè
"essere libero, avere tempo per...", in cui può finalmente "dare
tempo al tempo": ma per fare cosa? E così, per paradossale che possa
essere, frotte di abitanti delle città programmano partenze intelligenti per
viaggi assurdi che terminano in borgate alpine o località marittime affollate
dagli stessi difetti delle metropoli; schiere di viaggiatori
"alternativi" varcano oceani per imbattersi nel vicino di casa su
un'isola esotica; astuti sedentari scoprono orizzonti impensati nel proprio
quartiere tornato a dimensione umana...
Ma le vacanze sono anche, o almeno potrebbero essere, un periodo in cui
riscoprire la propria umanità e perseguire la pace e la serenità interiori, un
tempo per lo spirito, un'occasione per rispondere al desiderio autentico di
trovare altrove un senso a ciò che si vive qui e ora, per comportarsi
altrimenti in modo da tornare a condurre con consapevolezza un'esistenza
divenuta stanca "routine". Le vacanze possono essere davvero un'occasione di
"alterità" positiva, grazie alla quale gettiamo uno sguardo nuovo sulle abitudini
– buone e cattive
– assunte nei rapporti con gli altri e con la realtà
circostante, uno sguardo non miope ma lungimirante, distaccato e insieme
appassionato, uno sguardo che tende a diventare lo sguardo stesso di Dio.
E questo è possibile, a partire da pochi e semplici gesti quotidiani: non si
tratta di consacrare la vacanza a straordinarie imprese di solidarietà e
altruismo, benemerite certo, ma minacciate a loro volta dal mito del fare e
dell'apparire, oltre che dall'incostanza e dall'incoerenza dei comportamenti di
ogni giorno "normale". Si tratta piuttosto di apprendere l'arte di una
compassione e solidarietà più quotidiane, attente al "prossimo" che
ci sta accanto e che magari ci infastidisce, e non al "bisognoso"
ideale che pensiamo sempre lontano da noi, con il quale siamo noi a decidere se,
quando e come rapportarci. Un'arte, quella dell'abitare la "compagnia" degli
uomini in amicizia, che si nutre innanzitutto di interiorità, della vita dello
Spirito in noi.
Perché, allora, non approfittare delle vacanze per ridare alla nostra giornata
un ritmo e un clima più naturale, più umano, libero dai condizionamenti che
subiamo dall'esterno? Si potrebbe allora riscoprire il gusto della preghiera nel
silenzio di una chiesetta di campagna o di fronte alle meraviglie del creato,
sedendosi a guardare e ascoltare: ascoltare prima di guardare, perché la
bellezza si ascolta ancor prima di guardarla... Allora le cose, le persone
diventano una presenza e si accende la possibilità della comunione; riscoprire
che la bellezza non è un'idea ma un evento, un divenire da cui può nascere la
comunicazione e quindi la comunione. E ancora, se durante le vacanze cercassimo
di tralasciare le troppe parole di cui riempiamo le nostre giornate e ci
riaccostassimo alla sempre nuova parola che Dio ci rivolge attraverso la Bibbia,
saremmo capaci di una nuova lettura di noi stessi, di chi ci sta accanto e degli
eventi che segnano la nostra vita.
Sì, c'è un'architettura del tempo che si fonda e si articola sui bisogni
primari di ogni essere umano, ed è questa architettura che le vacanze possono
aiutarci a ricostruire: il nutrimento del corpo e dello spirito, l'alternanza
tra parola e silenzio che la parola fa sgorgare e alimenta, il riposo concepito
come sostegno di una vita piena e libera e non come metodo di ottimizzazione del
ciclo produttivo.
Certo, non è facile cambiare in pochi giorni ritmi e mentalità, privarsi dei
normali mezzi di comunicazione per riscoprire la ricchezza del dialogo fraterno,
misurarsi su quello che si è anziché su quello che si fa o si possiede,
riscoprire la semplicità di una vita più legata alla natura e alle sue
esigenze, lasciare che silenzi e suoni ormai dimenticati colpiscano ancora le
nostre orecchie e i nostri cuori, rievocando un mondo interiore messo a tacere
ma non eliminato... Ma il toccare con mano – anche solo per qualche giorno
– che
questa "alterità" è possibile, non ci è estranea ma famigliare è un aiuto a
riprendere la lotta quotidiana contro il prevalere del frastuono sull'intimità,
della superficialità su quanto abita le nostre profondità, dell'apparire
sull'essere.
È possibile usare le vacanze per accrescere la propria libertà, imparando a
discernere di cosa e di chi siamo schiavi; è possibile fare delle vacanze il
tempo privilegiato per la nostra umanizzazione, tralasciando costumi che ci
abbrutiscono; è possibile far tesoro delle vacanze per riscoprire
l'autenticità di rapporti umani che avevamo condannato alla triste banalità di
chi dall'altro non attende più nulla. È possibile, e dipende solo da noi.