Politica e
religione: l’analisi di Mustapha Cherif.
La scommessa del vivere
insieme
L’intellettuale
algerino, fra i firmatari di «A Common Word»,
esamina le sfide comuni,
a cominciare da quella fondamentale di ridare valore e senso alla vita.
Mustapha
Cherif
("Mondo e
Missione", Gennaio 2008)
Ex "Ministro dell’Insegnamento superiore e della Ricerca scientifica" ed ex ambasciatore, Mustapha Cherif è attualmente docente all’"Università di Algeri". Intellettuale arabo tra i più aperti al dialogo tra le culture e le religioni, è stato ricevuto da Benedetto XVI all’indomani del contestato Discorso di Ratisbona. È uno dei firmatari della "Lettera" aperta dei 138 "leader" musulmani.
Questa "Lettera"
rappresenta innanzitutto un richiamo a tutti i cristiani del mondo per dire che
la convivenza è possibile. È ciò che è avvenuto durante quindici secoli di
vita comune, in cui il dialogo e la coesistenza hanno dominato, nonostante ci
siano stati momenti bui, e soprattutto nonostante l’attualità di questi
ultimi quindici anni che è segnata dalla violenza e dall’incomprensione. Ma
non bisogna far sì che gli ultimi quindici anni ci facciano dimenticare
quindici secoli. È un richiamo, un anno dopo il Discorso di Ratisbona e un
anno dopo il mio incontro con il Papa, per dire che siamo più che mai convinti
della necessità del dialogo e del vivere insieme.
Si accusano spesso l’"élite" e la maggioranza dei musulmani di
essere silenziose. Questo è un modo per dire che noi osiamo prendere la parola
per "smarcarci" dalle infime minoranze che praticano la violenza.
E, al tempo stesso, è un gesto di apertura e una sfida per il futuro,
che dovrebbe fondarsi su una migliore comprensione e collaborazione tra le due
comunità religiose.
In questo senso, vanno tenuti presenti tre aspetti fondamentali. Innanzitutto
quello politico, che fa riferimento ai responsabili delle istituzioni ufficiali.
Noi, in quanto società civile e in quanto credenti, dobbiamo rivolgerci a
questi politici per dire loro che non ci può essere pace senza giustizia, e che
occorre mettere in atto politiche giuste. E soprattutto che non si deve
addossare alla religione quello che è proprio della politica.
Oggi la responsabilità del disordine e della violenza nel mondo appartiene
evidentemente alla sfera politica. Noi, in quanto società civile, in quanto
credenti, religiosi, ricercatori, intellettuali… dobbiamo spiegare a coloro
che decidono e all’opinione pubblica internazionale che i problemi del mondo
contemporaneo sono innanzitutto politici. Non è questione né di preghiera, né
di digiuno, né di pellegrinaggi, ma è una questione di giustizia.
In secondo luogo, sappiamo che esiste una logica del confronto e dello scontro e
che viene diffusa una propaganda infondata e negativa, contraria ai valori di
tutti. Questo è dovuto anche all’ignoranza. Per questo sarebbe meglio parlare
di scontro di ignoranze. Dunque, se in primo luogo si tratta di un problema
politico - e i politici devono assumersi le loro responsabilità
democraticamente - , in secondo luogo è un problema di mancanza di conoscenza e
di ignoranza, che richiede innanzitutto che dobbiamo incontrarci, per imparare a
conoscerci - a vivere insieme, a lavorare insieme, non unicamente a discutere
insieme - , a promuovere uno scambio reciproco su ciò che noi siamo, poiché
colui che non mi conosce finisce col deformarmi.
In terzo luogo, ci troviamo tutti di fronte alle stesse sfide. Ogni concorrenza
tra islam e cristianesimo sarebbe oggi vana e inutile perché dobbiamo tutti
fronteggiare delle sfide comuni.
A cosa serve chiedersi chi ha più fedeli, in un’epoca in cui è la vita
stessa che è minacciata sul pianeta? Tutto questo non ha senso. È una
battaglia di "retro-guardia". Quello che è importante oggi non è se
le Moschee o le Chiese siano più o meno piene. La cosa più importante è
sapere qual è il cuore dell’essere umano, e se è pieno di apertura e di
stima oppure di odio.
Una delle sfide principali di cui dobbiamo farci carico e che sta a cuore a
tutti coloro che tengono ai valori spirituali, è l’uscita della religione
dalla vita. Siamo di fronte oggi a un sistema dominante, che si appoggia sulla
"mercificazione" del mondo, sull’ateismo e sul
"liberalismo" selvaggio e, allo stesso tempo, liquida e "marginalizza"
i valori morali, spirituali e religiosi. È la più grande sfida comune in
quanto religioni: ridare all’umanità senso, riferimenti, valori...
Noi siamo certamente per il progresso, la modernità, l’economia di mercato,
ma non a qualsiasi prezzo. Non al prezzo della "disumanizzazione".
Un’altra sfida comune è quella della democrazia. Oggi le relazioni
internazionali non sono democratiche, in quanto le potenze di questo mondo
vogliono imporre il loro sistema e il loro punto di vista con la forza. Il che
crea disperazione e reazioni cieche. D’altro canto, la democrazia in molti
Paesi del sud è debole. Anche noi Paesi arabi siamo in ritardo su questo
problema.
Noi, popoli e società civili, siamo presi tra due fuochi: il sistema
internazionale non è democratico e all’interno delle nostre società le
pratiche democratiche non sono sufficienti. Certo, esiste la libertà di
espressione e una società civile, delle istituzioni e delle elezioni, ma noi
consideriamo che tutto questo debba essere migliorato e approfondito.
Infine, un altro problema cruciale è il fatto che ci viene impedito di pensare
diversamente, che ci viene negato il diritto alla differenza. I discorsi
dominanti nel mondo, che si tratti di quello "xenofobo" o razzista del
nord o di quello fanatico del sud, dicono sostanzialmente: «Sii come me o ti
odierò». È assurdo. Si tratta di estremismi che sono contro il diritto alla
differenza. L’Europa e l’Occidente rifiutano di riconoscere questo diritto
alla differenza. È la linea dominante. Come pure quella di gruppi minoritari e
fanatici nel sud che allo stesso modo si ergono contro questo diritto alla
differenza.
Noi credenti, dunque, cristiani o musulmani, dobbiamo affrontare queste sfide
comuni, cominciando dal fronteggiare il problema dell’uscita della religione
dalla vita. Anche se prolifera quello che viene chiamato «ritorno del
religioso», tutto questo non è autentica spiritualità. Quello che domina è
il "liberalismo" selvaggio, il "lassismo", la permissività
e l’ateismo o il ritorno dell’integralismo, che non è evidentemente l’autentica
spiritualità. È il primo problema: i valori, la morale, il senso della vita e
della morte…
Poi c’è un problema politico: non vedo autentici modelli democratici, e noi
Paesi arabi siamo particolarmente in ritardo su questo punto. Infine, il rifiuto
del diritto alla differenza, specialmente da parte dei "media", che
sono il riflesso del sistema dominante; molti preferiscono dare la parola o agli
estremi o a dei "contro-esempi" completamente improduttivi per fare in
qualche modo da "contrappeso’ agli estremisti, ovvero a dei credenti non
autentici o a dei fanatici atei, a gente che ha perso la fede, quando invece la
grandissima maggioranza della gente del Sud vuole continuare a vivere la propria
fede nella modernità e nel progresso. Alcuni vogliono tagliarci fuori dalle
nostre radici e dalla fede, mentre altri vogliono tagliarci fuori dal movimento
del mondo, dal progresso e dalla modernità. Noi invece vorremmo essere la
comunità del giusto mezzo, quella che è capace di assumere al tempo stesso
autenticità e modernità.
( Testo raccolto da Anna Pozzi ad Algeri )