René Voillaume
PREGARE PER VIVERE
CITTADELLA EDITRICE ASSISI
IL CLIMA DELLA PREGHIERA |
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Questo libretto è tratto totalmente da vari scritti di fratel René Voillaume, fondatore dei Piccoli Fratelli di Gesù, guida e animatore delle varie famiglie spirituali nate al seguito del padre de Foucauld. La divisione in capitoli e i sottotitoli abitualmente sono nostri, mentre, per la traduzione dal francese, abbiamo spesso usato delle opere del Voillaume già edite in Italia e che segnaliamo ai nostri lettori per una più profonda conoscenza del messaggio spirituale della Fraternità: COME LORO delle Edizioni Paoline, Roma; LETTERE AI NOSTRI FRATELLI SULLE STRADE DEL MONDO e, ultima in ordine di tempo, CON GESÙ NEL DESERTO, Edizioni Morcelliana, Brescia. Nel ringraziare vivamente le case editrici per le facoltà di scelta loro concesse, la redazione di JESUS CARITAS si assume totalmente la responsabilità della raccolta.
INTRODUZIONE
« Pregare sempre senza stancarsi» (Lc. 18, 1). La preghiera di Gesù resta per noi un mistero, della stessa profondità del suo mistero personale di Figlio di Dio fatto uomo. La sua preghiera era un colloquio inalterato e inalterabile con il Padre. Per lui non vi erano difficoltà nella preghiera e, tuttavia, è proprio come uomo, della stessa nostra umana natura, che egli pregava; la sua preghiera nel Getsemani ce lo testimonia eloquentemente.
Gesù ha pregato suo Padre così come noi lo preghiamo, con tutto l'ardore del suo animo umano e con la semplicità di un figlio d'uomo. Così, noi lo vediamo ritirarsi nella solitudine per pregare: non soltanto per darcene l'esempio, ma proprio perché anche egli, come creatura umana, ne sentiva la necessità, e la. sua preghiera era divinamente filiale, così come perfettamente filiale era il suo abbandono al Padre.
Noi non possiamo parlare della preghiera del Cristo se non
balbettando: essa era l'eco, nella sua intelligenza e nella sua sensibilità
umana, degli scambi di conoscenza e di amore che scaturivano dal seno stesso
della Trinità. Ed è appunto là che Gesù vuole trascinarci, così che anche
noi si arrivi a questa preghiera filiale. Come nostro capo, Gesù ha pregato per
tutti e in nome nostro.
Il Vangelo stesso ci mostra come la sua preghiera personale fosse tutta
modellata dal suo essere e dalla sua missione di salvatore, e anche quando sul
Tabor egli lascia trapelare lo splendore della sua divinità, lo fa per parlarci
della sua morte imminente.
Come la passione, la croce e l'offerta della sua vita hanno marcato
profondamente la preghiera del Salvatore, così deve essere per ognuno di noi.
IL CLIMA DELLA PREGHIERA
Perché pregare?
Chiamandoci a seguirlo, il Signore Gesù ci ha, allo stesso
tempo, chiamati a pregare con lui. Al momento di metterci in preghiera,
chiediamoci cosa stiamo per fare e perché lo facciamo. Dobbiamo pregare,
innanzi tutto, perché Dio ci ha fatti per lui ed è a lui che dobbiamo
tornare; e la preghiera è la molla che accelera e provoca questo moto di
ritorno verso il Padre. Dobbiamo pregare, perché il Signore Gesù ci ha amati
per primo e il nostro amore ne è la risposta: l'amicizia esige un dialogo
intimo nel quale poter esprimere tutto l'amore e la conoscenza per l'essere che
amiamo. Si tratta di tendere a una conoscenza di Dio molto semplice,
generalmente oscura, al di là di ogni linguaggio umano, dove le cose divine
siano gustate nella loro dolcezza, ma anche nella loro amarezza. Talvolta,
infatti, la nostra preghiera si ridurrà a essere soltanto una chiamata
profonda, in una attesa umile, silenziosa, ma colma di desiderio della scienza
di Dio che solo lo Spirito Santo ci può rivelare.
Dobbiamo pregare, perché siamo infinitamente miserabili e
piccoli. e, per essere totalmente veri, dobbiamo esprimere questa dipendenza del nostro essere,
supplicando il Padre di colmare la nostra insufficienza con la sua pienezza.
Infine, dobbiamo pregare perché il Salvatore Gesù ci ha
chiamati a lavorare con lui per la salvezza delle anime, non soltanto dividendo
la sua croce, ma anche pregando costantemente e prendendo la nostra parte nella
sua sofferta preghiera nell'orto degli ulivi.
Noi siamo caricati di anime: non saremo mai sufficientemente
convinti di questa realtà. Ricordiamo, quindi, che pregare significa fare per
loro il massimo bene, aderendo al piano divino che ha voluto legare la loro
sorte spirituale alla nostra miserabile collaborazione. È questo uno dei grandi
compiti della nostra vita e nulla al mondo ci deve e ci può impedire di
compierlo.
Ricordiamo queste cose e andiamo a pregare.
«Vigilate e pregate»
L'insegnamento evangelico sulla preghiera si può
sintetizzare in due punti essenziali: una promessa che Dio ci verrà
incontro quando e come vorrà, e questa è la parte del lavoro di Dio, la
principale, poiché rappresenta per noi la speranza - che non potrà essere
delusa - che la nostra preghiera terminerà in lui; un invito pressante alla
perseveranza, qualunque cosa succeda e malgrado tutte le apparenze sfavorevoli,
e questa è la nostra parte di lavoro.
Che bisogno abbiamo di saperne di più?
Per imparare a pregare, bisogna dunque semplicemente pregare,
pregare molto e saper ricominciare senza stancarsi: anche se non vi è risposta,
anche se non vediamo nessun risultato palese. Gesù ha tanto insistito sulla perseveranza, perché sapeva che ci sarebbe stata difficile a
causa del nostro bisogno di cambiamenti e di novità.
Un aiuto a perseverare ci verrà dal ricordo frequente delle
normali caratteristiche della preghiera di fede.
Non aspettiamo di pregare quando ne sentiamo il desiderio:
lasceremmo la preghiera proprio nel momento di maggior bisogno. È una illusione
pericolosa a cui molti devono il loro allontanamento dal Cristo. Il desiderio
della preghiera non può nascere che dalla fede; desiderare di pregare è già
un effetto della preghiera. Ci basti sapere che Dio ci attende; Dio desidera
sempre vederci pregare, anche quando non ne abbiamo voglia e, forse, soprattutto
allora. Non dimentichiamo che meno pregheremo, più lo faremo male e ne avremo
sempre meno il desiderio.
Naturalmente non dobbiamo aspettarci nulla per noi stessi
dalla preghiera. Dobbiamo pregare per il Padre e non per averne soddisfazione e
tanto meno per l'ambizione di pregare bene e con ottimo metodo. Non desideriamo
altra preghiera che ci viene data dallo Spirito.
Non ci' risulta che nel Padre nostro ci sia alcuna
domanda la cui risposta possa apportarci una personale soddisfazione e neppure
un risultato immediatamente costatabile. Bisogna perseverare senza vedere e
saper quindi ricominciare senza scopo, solo per lui. Se tutto si svolge
veramente così ciò equivale a dire che ci occorrerà molto coraggio per
pregare.
« Se avrete una fede che non esita... »
Solo la fede è capace di farci raggiungere realmente Gesù,
non per astrazione né per via intellettuale, ma nella concretezza di una realtà percepita
oscuramente e invisibilmente, sulla parola di Dio.
Dobbiamo imparare a sopportare l'oscurità, spesso così
fredda della fede nuda e collegarvi un amore che, come Gesù ci ha insegnato,
consiste nel fare la volontà del Padre; e, tuttavia, non dimentichiamo che il
meglio della nostra sensibilità umana, del nostro cuore, non possono essere
assenti in un mistero d'amore che non ha avuto paura dell'incarnazione, delle
lacrime, del cuore trafitto da una lancia e del corpo e del sangue dati in
nutrimento.
.Quale equilibrio dobbiamo mantenere nel nostro modo di amare
Dio, di amare Gesù e Maria, nostra madre! Tutto deve essere incentrato nella
fede, che sola ci introduce nel mistero dell'amore invisibile. Essa non è
opposta ai sensi, ma li trascende, altrimenti Dio non avrebbe scelto di proporre
al nostro amore degli «esseri visibili per introdurci all'amore delle cose
invisibili », come dice così bene il prefazio del Natale e del Corpus Domini.
Nella: nostra vita donata agli uomini e volutamente attenta
alle loro necessità quotidiane, al loro lavoro, alle loro sofferenze, non
siamo forse totalmente presenti alle cose e agli esseri visibili? Ed è appunto
nel contesto di una vita, spesso travagliata, che deve svilupparsi in noi un
amore autentico per il Cristo, ora invisibile per noi, ma i cui segni di amore
ci sono sensibili nel pane consacrato, nelle parole del Vangelo e della
gerarchia ecclesiastica.
Non coltiveremo mai abbastanza la nostra fede per renderla forte, viva, abitualmente posta alla base
delle nostre decisioni, dei nostri giudizi e, soprattutto, della nostra
preghiera. La nostra sensibilità dovrebbe normalmente sostenere ed esprimere la
nostra fede. Non si tratta di distruggere questa sensibilità, ma la fede deve,
con altrettanta sicurezza, sia farne a meno che superarla o includerla nel
movimento stesso dell'amore di cui essa ,ne è la sorgente. Dobbiamo essere
uomini di fede tanto nel lavoro, nella preghiera, nell'accogliere gli ospiti,
come nel silenzio.
Ognuno, nella propria strada, deve mettere le energie e le
ricchezze del suo cuore e del suo temperamento al servizio della fede; e faremo
ciò solo amando. Supplico Gesù, perché ciascuno di noi impari a vivere di
fede: a guardare le cose, gli esseri, le situazioni con gli occhi stéssi di Dio
e a reagire in ogni circostanza con la forza del suo amore.
«Dov'è il tuo tesoro, là c'è il tuo cuore... »
La continuità della presenza di Dio non è nella coscienza attuale, esplicita, soprattutto, per via di idee o di immagini di questa presenza, ma risiede nella vigilanza dell' amore: è in lui e per lui che si attua l'unione con Cristo. L'attenzione immaginativa o intellettuale è solo un mezzo per ottenere questa vigilanza. Il cuore deve e può vegliare anche quando l'uomo si dà totalmente alla sua opera per farla nel migliore dei modi.
« Venga il tuo Regno, sia santificato il tuo nome»
Ci sono due modi di agire sul mondo. Il primo è immediato
nel tempo e nello spazio e ci appartiene in modo del tutto personale: è il
frutto della nostra intelligenza, della nostra inventiva, della nostra volontà,
del lavoro delle nostre mani. È un bisogno vitale; tutti gli uomini lo desiderano e vi aspirano, ciascuno nella misura delle
proprie capacità e del proprio ideale. L'altro modo di agire sul mondo non lo
si può scoprire che dopo essersi persi nella rinuncia a ogni attività
immediata. Allora, una tale attività diventa illimitata nel tempo e nello
spazio, in profondità e in larghezza, e ci tiene continuamente assorbiti in una
ambizione sempre crescente, di agire ovunque vi siano dei fratelli, nella
speranza che una tale attività cresca e continui per sempre. Questo desiderio
assoluto è il segno di una vocazione contemplativa e non può saziarsi che
nella cooperazione all'attività stessa di Dio. Ed è a questo punto che ogni
attività esterna, anche se apostolica, ci lascia insoddisfatti. Una tale
collaborazione alla azione onnipotente del Cristo, non può essere altro che
frutto di un amore contemplativo. Per mantenere nella propria vita questa
gerarchia di valori, è necessario tenere lo sguardo interiore della fede
puntato sulle realtà, che stanno a fondamento di tale attività e che rendono
possibile un amore così esclusivo.
Tutto è fondato nell'amore: sì, ma ciò che caratterizza il
modo di amare di un contemplativo, è che il suo amore deve essere tale da
ispirargli non solo il coraggio per una attività immediata e visibile nella
carità, ma anche quello, altrettanto difficile, di restare fedele a un
apostolato invisibile, la cui realizzazione suppone un grado di distacco, se non
più totale, certo più profondo. In questa prospettiva egli deve orientare ogni
sua azione. Non si può seguire fedelmente un tale cammino, senza una fede viva
e sostenuta dalla grazia di una conoscenza contemplati va di Gesù, della sua
croce sul Calvario e di quella che, nel cuore di ciascuno di noi, continua a
operare per la salvezza di tutti gli uomini.