CARLO MARIA MARTINI
RITROVARE
SE STESSI
C'è un momento nell'anno per fermarsi e cercare
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3. Il peccato | ||
4. Riconciliazione e conversione | ||
5. Il combattimento spirituale | ||
Tempo di lotta nello Spirito |
||
6. La Pasqua di Cristo |
5.
IL COMBATTIMENTO SPIRITUALE
Le vie dell'avversario
Tutta la storia del mondo è vista nella Scrittura come una
grande lotta, un vero e proprio combattimento spirituale, e lo conferma l'ultimo
libro della Bibbia, l'Apocalisse:
«Scoppiò una guerra nel cielo; Michele e i suoi angeli
combattevano contro il drago. Il drago combatteva insieme con i suoi angeli, ma
non prevalsero e non ci fu più posto per essi in cielo. Il grande drago, il
serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la
terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati
anche i suoi angeli» (12, 7-9).
Possiamo leggere questa lotta come un conflitto di mentalità:
Dio al centro oppure l'uomo al centro. Sullo sfondo c'è appunto un avversario
che continuamente insidia l'uomo mascherandogli la verità.
Il sostantivo "avversario" traduce il termine ebraico
satan; genericamente lo chiamiamo "intelligenza del male", perché il male
non è frutto semplicemente di ignoranza, di errori o di trascuratezza. E,
piuttosto, opposizione a Dio. E le "vie" dell' avversario sono i mezzi che usa
per venire a noi: i suoi disegni, i suoi intenti. Tutto questo non deve sembrare
un'idea strana e peregrina. Meditando attentamente la Scrittura ci rendiamo infatti
conto che si tratta di un principio importantissimo di interpretazione della
realtà.
La molteplicità di nomi che troviamo nella Bibbia indica da una
parte la difficoltà di definire tale intelligenza del male e, dall' altra, la
multiformità dell'azione dell'avversario.
Un primo nome, a partire dal capitolo 3 della Genesi è il
serpente; vuole significare furbizia, capacità di ingannare, di circuire, di
accalappiare con ragionamenti speciosi.
Poi il tentatore, colui che cerca di buttare l'uomo nella fossa
da cui non riesce più a uscire.
Il nemico, colui che vuole il male dell'uomo, che lo vuole
deprimere, umiliare, degradare.
Omicida sin dall'inizio è il nome che Gesù dà all'avversario per
sottolineare che si compiace della degradazione umana.
La storia registra esempi terribili di queste forme di crudeltà
umana, ma l'uomo non ne sarebbe capace se non fosse istigato da un disegno misterioso.
L’accusatore o il calunniatore, colui che mette sempre in
rilievo il male, il negativo, colui che porta alla depressione, all'autoaccusa e
all' autolesionismo. E chiaramente l'opposto del «Paraclito» che difende,
consola, dà coraggio, fa vedere la mèta, suggerisce le possibilità che l'uomo ha
con la grazia. Con questa denominazione di «accusatore» si intende tutta la
realtà interiore negativa che dice all'uomo: non ce la farai, non ci arriverai,
hai sbagliato strada.
Il divisore, colui che mette divisioni tra le persone, che
provoca malintesi. Succedono malintesi a partire da una semplice anfibologia verbale, che possono giungere a
lotte di famiglie e di gruppi.
Il mentitore, colui che dice menzogne in maniera così astuta da
renderle credibili. A volte capita di sentire calunnie o di vedere espressioni
della menzogna umana tali da farci pensare che è all' opera una forza diabolica.
In tutte queste realtà non è necessariamente implicato
personalmente satana: ci troviamo però davanti (ecco l'analogia biblica) a
quella complessa sfera del male di cui satana è il responsabile.
Le vie del male, quindi, rappresentano la molteplicità di
atteggiamenti che intendono disprezzare l'uomo, deprimerlo, degradarlo,
scoraggiarlo, traducendosi poi in teorie di scetticismo, di nichilismo, di
indifferentismo che arrivano anche a godere del male altrui.
I diversi nomi con cui la Scrittura denuncia la presenza dell' avversario, si concretizzano in delitti, suicidi, in forme di gravi vizi e di mutua soppressione e opposizione tra persone.
Le intenzioni dell'avversario
Ci sono alcuni brani degli Atti degli Apostoli che permettono di comprendere ancora meglio l'intento dell'avversario nei confronti di Dio e del cammino dell'uomo verso la Verità.
- Anzitutto consideriamo la requisitoria di Pietro contro
Anania:
«Anania, perché mai satana si è così impossessato del tuo cuore
che tu hai mentito allo Spirito santo e ti sei trattenuto parte del prezzo del
terreno?» (Atti 5,3). Notiamo le due frasi in parallelo: «satana si è
impossessato del tuo cuore» e «hai mentito allo Spirito santo». Pare che Pietro
voglia dire che l'uomo è incapace di mentire allo Spirito santo se non c'è
qualcosa che lo stravolge interiormente.
Il testo greco ha un' espressione più pregnante: «Perché ha
riempito satana il tuo cuore?». E la parola che viene usata per indicare la
pienezza di grazia: come il dono di Dio riempie il cuore e lo fa traboccare di
gioia, di entusiasmo, di creatività, di voglia di donarsi, così l'avversario
tende a riempire il cuore di amarezza, di paura, di calcolo, di disgusto e di
continuate menzogne.
Si svela così l'intenzione dell'avversario: impadronirsi del
cuore prima che delle azioni. Gesù ha insegnato che: «dal cuore nascono le
azioni cattive» (Marco 7, 22 ss.), come dal cuore nasce l'amore, la bontà, la
dedizione. Satana ha di mira il cuore e nessun cuore umano è esente dal suo
attacco. Ciascuno di noi sperimenta attacchi di amarezza, di scetticismo, di
disgusto, che si aggiornano e diventano a livello e a misura della realtà che
stiamo vivendo. Non c'è un tempo nella nostra vita in cui possiamo sentirci
fuori dal pericolo dell'avversario: per questo la parola evangelica insiste
sulla vigilanza continua.
Una seconda osservazione. L'espressione di Pietro: «ha riempito
satana il tuo cuore» ricorda da vicino la descrizione del tradimento di Giuda:
«Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota,
figlio di Simone, di tradirlo...» (Giovanni 13) 2).
Questa lettura appare strettamente parallela alla nostra e
sembra dire: come poteva Giuda tradire Gesù se non vi fosse stata una forza
dell' avversario?
In realtà, il brano di Giovanni è più complesso e quella traduzione tiene conto di una tradizione testuale che non
è delle più antiche. I codici più antichi (Sinaitico, Vaticano e la stessa
Volgata) hanno: «quando già il diavolo aveva messo nel suo cuore» (nel proprio
cuore) «che Giuda Iscariota lo tradisse».
È molto interessante perché ci rivela un altro aspetto dell'avversario e lo pone in antitesi con Gesù. Gesù, per così
dire, si è già messo nel cuore che deve passare al Padre e vuole amare i suoi
sino alla fine. Satana ha messo nel proprio cuore un'altra cosa: che Giuda deve
tradire Gesù. Ha visto che Giuda è il più debole, che è un po' amareggiato e
scontento, che è al limite della definitiva rottura, che ha fatto dei passi in
questa linea e allora si impegna contro di lui.
La lavanda dei piedi diventa così la lotta tra Gesù e satana per
salvare Giuda: Gesù compie un gesto di umiltà per riuscire a smuovere l'animo di
Giuda che sta per essere invaso dalla tentazione satanica del tradimento. Gesù
lotta per l'uomo: lotta per Giuda, non soltanto per Pietro e per gli altri
discepoli. Vuol far vedere a Giuda, con un gesto simbolico, che lo ama fino in
fondo, che vuole morire per lui, che lo stima, che gli è vicino, che gli è
sottomesso quasi come servo. Cerca di conquistarne il cuore, di strapparlo alla
forza dell' avversano.
In questa interpretazione leggiamo meglio lo stile drammatico,
contrappositivo dell' esperienza cristiana secondo il Nuovo Testamento: la lotta
tra Cristo e satana, la lotta tra la luce e le tenebre per il cuore dell'uomo.
- La requisitoria di Paolo, chiamato qui ancora Saulo, contro il
mago Elimas che cerca di distogliere il proconsole dalla fede, facendo cioè
un'azione tipicamente diabolica. E la via dell'avversario contro la via di Dio.
«Allora Saulo, detto anche Paolo» (nel momento in cui assume la
sua funzione profetica contro l'avversario comincia a essere chiamato Paolo),
«pieno di Spirito santo» (che gli colma il cuore di consolazione e lo illumina
di chiarezza sui disegni di Dio), «fissò gli occhi su di lui e disse: "Uomo
pieno di ogni frode e di ogni malizia, figlio del diavolo, nemico di ogni
giustizia, quando cesserai di sconvolgere le vie diritte del Signore?"»(Atti 13)
9-10).
La potente invettiva di Paolo ci dà il vocabolario
dell'avversario e delle sue intenzioni. Soprattutto interessante è
l'espressione: «sconvolgere le vie diritte del Signore».
Il
Signore ha delle vie
per le quali Egli vuole venire all'uomo e che l'uomo venga a Lui. C'è però
qualcuno, ci sono delle forze, delle realtà che poi diventano situazioni,
persone, gruppi, culture e mentalità, che cercano di sconvolgere le vie del
Signore.
È necessario - come dicevo – comprendere bene le analogie
bibliche e tutto il tema dell' avversario nella Scrittura. A noi spesso capita
di demonizzare subito le persone, le istituzioni o i gruppi. E un errore di
fondo che conduce praticamente alla caricatura del discorso sul demonio e alla
derisione di un tale modo di interpretare le cose.
La Bibbia, invece, con la sua comprensione dell'uomo, sa che non
si tratta di personificare satana in gruppi o istituzioni: ordinariamente è la
realtà del male che invade i cuori degli uomini e si manifesta or qui or là,
senza che noi possiamo con certezza identificarla.
Se imparassimo ad attenerci alla delicatezza, alla ricchezza,
alla molteplicità analogica della Scrittura, comprenderemmo gli atteggiamenti e
le situazioni, talora personali, da cui traspare malignità, invidia, gusto del
male altrui che superano la media dell'umana debolèzza mostrando così che il
male del mondo è all' opera con intelligenza implacabile.
- Un altro passo degli Atti, dove non si nomina direttamente
satana ma è richiamata la sua realtà, è il racconto di Simon mago. Pietro e
Giovanni sono andati in Samaria e, con l'imposizione delle mani, hanno effuso lo
Spirito santo. Allora: «Simone, vedendo che lo Spirito veniva conferito con
l'imposizione delle mani degli apostoli, offrì loro del denaro, dicendo: "Date
anche a me questo potere perché a chiunque io imponga le mani, egli riceva lo
Spirito santo"» (8, 18-19).
Siamo di fronte a una forma di agire che tocca gravemente la sostanza del
Vangelo ed è perciò segno della presenza di una intelligenza del male. È
interessante fare un paragone tra il potere che Simon mago desidera avere e il
potere che satana offre a Gesù: «Ti darò tutto questo potere» (exusia) «e la
gloria di questi regni perché è stata messa nelle mie mani e io la do a chi
voglio»(Luca 4) 6). Satana rivendica per sé la «exusia», la conquista di potere
sulle cose e sulle persone. Simone chiede un potere assoluto che supera il
potere di singoli uomini: il potere di disporre dello Spirito santo. Si tratta
dello stesso contesto di prevaricazione. «Ma Pietro rispose: "Il tuo denaro vada
con te in perdizione, perché hai osato pensare ,di acquistare con denaro il dono
di Dio. Non v' è parte né sorte alcuna per te in questa cosa, perché il tuo
cuore non è retto davanti a Dio. Pèntiti dunque di questa tua iniquità e prega
il Signore che ti sia perdonato questo pensiero. Ti vedo, infatti, chiuso in
fiele amaro e in lacci d'iniquità» (Atti 8, 20-23).
L'atmosfera è descritta molto bene: Simone si sente rivelare il suo stato
interiore di amarezza, di chiusura, di gusto morboso del potere che lo blocca e
lo chiude nella sua personalità e c'è come una lotta per strappare questo uomo
dalla realtà del male che sta per conquistarlo definitivamente.
«Rispose Simone: "Pregate voi per me il Signore, perché non mi accada nulla di
ciò che avete detto"» (v. 24).
Mentre Giuda se ne va con il suo boccone amaro, Simone ha la forza di chiedere
preghiere, riconoscendo di essere entrato, al di là forse delle sue stesse
intenzioni immediate, in una situazione che sta per travolgerlo. Voleva avere
successo, prestigio e invece è entrato a turbare direttamente l'opera di Dio.
Concludendo: il cammino del Vangelo è una lotta di natura sua
contrastata. Contrastata nel cuore dell'uomo e contrastata da tutto ciò che
come sviluppo storico e mondano delle vie dell' avversario, diventa, secondo le
parole di Giovanni, il dominio del mondo, della carne, della concupiscenza. La
crescita del Vangelo comporta una lotta alterna in cui bisogna stare sempre
all'erta per superare un avversario più forte e più intelligente di noi; perciò
è necessario affidarsi alla potenza e alla forza dello Spirito.
Spesso i nostri programmi, le nostre analisi, i nostri risultati non tengono
conto dell' opposizione che lavora nel cuore di ogni uomo, a partire dal nostro.
Ci muoviamo come se si trattasse di diffondere una dottrina, una conoscenza, un
sapere di cui conta soprattutto l'accortezza, la preparazione, la molteplicità
dei mezzi, la vastità della risonanza, senza tener conto della lotta corpo a
corpo che esige il pagare di persona. La Chiesa, invece, si sente pienamente se
stessa quando lotta, soffre e paga di persona: per questo la sua sofferenza è
luminosa e splendente.
Due esempi dell'azione dell'avversario nel mondo
- Oggi più che in altri tempi l'umanità comprende che senza una
certa unità non può sopravvivere e gli stessi problemi gravi della fame, del
sottosviluppo, delle guerre sono segni di un'interdipendenza economica, sociale,
culturale, politica. Essa spinge alla comunione tra gli uomini, tra i popoli,
evidenzia l'obbligo di fare unità.
Un altro segno di tale tensione inerente alla storia è costituito dai giovani
che sentono profondamente l'esigenza di superare ogni barriera, di abbattere le
divisioni dovute alle differenze di razza, lingua, cultura e vogliono trovarsi
ovunque a loro agio.
Oso dire che l'unità storica verso cui l'umanità va irresistibilmente, pur tra
le molteplici agonie e con alterne vicende, è l'ombra, il riverbero della
celeste Gerusalemme in questo mondo. Unità da costruire su tutti i terreni come
vera missione dell'uomo, perché ha relazione con la realtà eterna della celeste
Gerusalemme, da costruire nella forza della carità che unifica il mondo.
Qui, unità come ansia del genere umano e carità come gemito dello Spirito nei
cuori si fondono, anche senza identificarsi: tutto ciò che si opera a livello
civile e sociale in favore dell'unità viene svelato, purificato e sostenuto,
nelle sue tensioni più profonde, a livello della carità che è la forza unitiva
dell'umanità.
Tuttavia constatiamo che l'unità, quale ansia del genere umano,
è conflittuale, continuamente attaccata, messa in pericolo, è
instabile, fragile, sottoposta a prove drammatiche. Non procede
tranquillamente e necessariamente, ma corre il rischio della confusione totale e
occorre molta fatica per vederla. Ci vuole appunto uno spirito sostenuto dalla
fede per coglierla con chiarezza nelle divisioni umane.
Credo dunque che le forze avverse all'unità abbiano la loro spiegazione
nell'azione del maligno, di colui che tende a dividere. Non è utile
nominare tanto spesso il diavolo, perché il fraintendimento può essere tale da
non permettere di cogliere davvero ciò che si vuole di re; ritengo però che la
realtà drammatica dell' opposizione all'unità della famiglia umana, e le sue
manifestazioni - violenze, soprusi, sfruttamenti, genocidi -, vada indubbiamente
compresa come una componente spirituale della storia. In caso contrario non si
riuscirebbe assolutamente a spiegare come mai il mondo tende all'unità e intanto
viene sempre ributtato nella divisione.
Dobbiamo avere la consapevolezza che le due realtà convivono: bisogno di unità e
continui tradimenti di essa. Cogliendo infatti l'intelligenza del male che cerca
di separare e dividere, possiamo meglio comprendere di vivere in una permanente
conflittualità sapendo che proprio in questa lotta si gioca la fede. Di qui la necessità
di discernere le forze unitive e pacificanti che lavorano per l'unità della storia a livello sociale, culturale, politico, ecclesiale, religioso.
La croce di Cristo, momento culminante della lotta, è il luogo in cui l'unità del genere umano viene realizzata nel momento della massima disgregazione e oscurità. La Croce è il punto più significativo del cammino verso l'unità e della drammatica opposizione dove la rabbia disgregatrice e divisiva si scatena contro ogni tentativo di reale unità dei cuori e delle vite. Questa è la città umana, questo il senso dell' esistenza affermato dal
cristianesimo. Cercando, al di fuori del mistero della Croce, la purificazione e il raggiungimento della pace propria e con gli altri, nell'ambito di un'inesorabile
conflittualità, non si può giungere a una vera comprensione della storia.
- Un secondo esempio lo vediamo nell'incapacità umana a comunicare.
L'uomo è fatto per comunicare e per amare, secondo il disegno
creativo di Dio. E ciascuno di noi vive l'immensa nostalgia di poter comunicare
a fondo e autenticamente; nessuna persona umana sfugge a questo intimo desiderio che penetra in tutte le nostre relazioni,
rimane anche là dove tutto il resto sembra depravato e
corrotto. Persino negli abissi della più cupa disperazione e disgusto di sé affiora, come una stella alpina sull'abisso, la voglia comunque di comunicare davvero con qualcuno, di trovare una persona che in qualche modo ci capisca e ci accetti. Questo stigma che portiamo dentro per sempre è un riflesso di Colui che ci ha creati e insieme testimonia le storture che noi abbiamo imposto a tale desiderio, a tale diritto sano.
Il racconto della discesa dello Spirito santo sugli Apostoli
nel giorno della Pentecoste e della conseguente loro capacità di esprimersi e di farsi capire in tutte le
lingue (cfr. Atti 2) 1-47) è una delle icone più efficaci del dono del
comunicare che Dio ci elargisce. Lo Spirito suscita una straordinaria capacità
comunicativa, riapre i canali di comunicazione interrotti a Babele e restituisce
la possibilità di un rapporto facile e autentico tra gli uomini nel nome di Gesù
Cristo crocifisso é risorto. Suscita la Chiesa come segno e strumento della
comunione degli uomini con Dio e dell'unità del genere umano.
Ma il dono della comunicazione può essere rifiutato e uno dei
motivi che determina questo rifiuto è certamente quello della mancanza di
fiducia nella gratuità e sincerità dell' atto comunicativo. Ancora una volta,
alla radice del rifiuto c'è l'avversario, il satana che aveva già
inculcato il sospetto nel giardino dell'Eden. Aveva infatti detto a Eva: Ma è
proprio vero che Dio vi ha comandato di non mangiare da nessun albero del
giardino? (cfr. Genesi 3) 1). La frase del tentatore, nella sua
paradossalità(come è possibile che Dio abbia proibito ogni frutto?), ha un
sottinteso: ci sarà pure una ragione di convenienza personale per cui Dio vi ha
proibito almeno uno dei frutti... forse il suo agire non è disinteressato!
È un sospetto, una tentazione che continua ogni giorno nella
storia e pervade ogni ambito; si stroncano le amicizie, si separano le famiglie,
si rompono i contatti, si violano i patti sacri tra le Nazioni, ci si divide,
viene falsata la comunicazione sociale, sono drogate o esagerate le notizie. La
comunicazione sbagliata, imperfetta, fuorviante, ha alla base blocchi e rotture
comunicative tra le persone e i gruppi: la colpa non è dei mass media in quanto
tali.
Di conseguenza occorre in primo luogo risanare i canali
comunicativi interpersonali, di gruppo e sociali. La via del risanamento è la
via indicataci da Gesù: riconoscere nel suo volto e nelle sue parole l'autocomunicazione
di Dio all'uomo. Tutto il mistero creativo e redentivo è un
grande atto del comunicare divino, che ci manifesta un Dio unico in Tre persone
che possono essere anche designate come Silenzio fecondo da cui nasce la Parola
mediante la quale si realizza l'Incontro. Se vogliamo imparare a comunicare,
dobbiamo contemplare la Croce, lasciarci folgorare dal Figlio crocifisso e ciò
suppone un combattimento spirituale, una vita di fede seria e matura.
La vita di Gesù come tentazione e lotta
Tutta la vita di Gesù è stata una formidabile lotta, una presa di posizione decisa nel grande combattimento contro l'avversario.
Gesù tentato nel deserto
Gli evangelisti Matteo, Marco e Luca descrivono anzitutto l'episodio di Gesù tentato nel deserto.
«Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere
tentato dal diavolo. E dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti,
ebbe fame. Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: "Se sei Figlio di
Dio, di' che questi sassi diventino pane". Ma egli rispose: "Sta scritto: Non di
solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio". Allora
il diavolo lo condusse con sé nella città santa, lo depose sul pinnacolo del tempio e gli disse: "Se sei Figlio di Dio, gettati giù, poiché sta
scritto: Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo, ed essi ti sorreggeranno con
le loro mani, perché non abbia a urtare contro un sasso il tuo piede". Gesù gli
rispose: "Sta scritto anche: Non tentare il Signore Dio tuo".
Di nuovo il diavolo lo condusse con sé sopra un monte
altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo con la loro gloria e gli disse: "Tutte queste cose io ti darò
se, prostrandoti, mi adorerai". Ma Gesù gli rispose: "Vattene, satana! Sta
scritto: Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto".
Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli gli si
accostarono e lo servivano» (Matteo 4, 1-11; cfr. Luca 4, 1-13).
La pagina sulle tre tentazioni diaboliche che Gesù ha vinto
per noi, per ogni uomo e donna della terra, è densa di significato e su di essa
hanno fissato lo sguardo anche gli artisti, i letterati, i poeti. Scrive
Dostoevskij, ne I fratelli Karamazov:
«Se si potesse immaginare, solo a modo di ipotesi, che queste
tre domande del terribile spirito fossero cancellate senza traccia dai testi, e
che bisognasse escogitarle di nuovo e formularle, per inserirle ancora una volta
nella Scrittura, e all'uopo si radunassero tutti i sapienti della terra, sommi
sacerdoti, eruditi, filosofi... e si dicesse loro: Escogitate tre domande, ma
tali che non solo corrispondano alla grandezza dell' evento, ma esprimano in tre
parole, in tre sole frasi umane tutta la storia del mondo e dell'umanità, pensi
forse che tutta la sapienza della terra riuscirebbe a escogitare qualcosa di
paragonabile, per forza e per profondità, a quelle tre domande che realmente
furono proposte, quel giorno, dal possente e penetrante spirito del deserto?...
In queste tre domande è come riassunta in blocco e predetta tutta la futura
storia umana».
Esse sono infatti un simbolo di tutte le tentazioni umane, delle crisi, delle sofferenze dell'umanità.
Gesù si avvia nel deserto per lasciarsi tentare da satana e
inizia un periodo di quaranta giorni di digiuno. Quaranta giorni evocano la marcia eroica, al limite delle
forze, estenuante, del popolo di Israele che cammina nel deserto. Il deserto è
il luogo della solitudine, dello smarrimento, della fame, ed è pure il luogo del silenzio e
della preghiera. Gesù si rifugia nella solitudine e vive il digiuno, la
penitenza, l'austerità, la fatica, la preghiera, il silenzio.
Ma il deserto è anche un luogo in cui si compiono delle
scelte, perché l'uomo viene posto di fronte alle domande esistenzialmente più
drammatiche.
Gesù sta per iniziare la sua vita pubblica e, in occasione di
questo lungo ritiro in silenzio e in solitudine vuole decidere il suo programma:
non penserà a sé, non si preoccuperà del suo corpo, non approfitterà del suo
potere miracoloso, ma sarà il Messia umile, obbediente, ascoltatore della parola
di Dio.
Risponde quindi al tentatore in tre modi:
-
appoggiandosi alla parola di Dio: «Non di solo pane vivrà l'uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Deuteronomio 8, 3);-
rifiutando la via facile dei miracoli spettacolari ed entrando nella via nascosta e semplice del dovere quotidiano: «Non tentare il Signore Dio tuo» (Deuteronomio 6, 16);- rifiutando ogni potere terreno, ogni successo mondano, ogni ricchezza, per proclamare il primato assoluto di Dio, primato che è la radice di tutto ciò che è giusto e retto: «Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi culto» (Deuteronomio 6, 13). La negazione di tale primato è la radice marcia di una cultura incapace di difendere i valori più sostanziali dell' onestà e di promuovere la vita là dove essa è maggiormente minacciata.
Gesù ha vinto per noi scegliendo la via giusta contro le
lusinghe e lasciando la via sbagliata. Egli vive nella sua carne le tentazioni,
ma per bruciare le eventuali sicurezze provenienti dalle prerogative e dai
privilegi che gli potevano essere attribuiti come "Re messianico", da tutte
le convenienze che la fama di taumaturgo poteva procurargli.
Il testo di Luca termina così: il diavolo, «dopo aver
esaurito ogni specie
di tentazione, si allontanò da lui per ritornare al
tempo fissato» (Luca 4, 13). Gesù è tentato al principio della vita
pubblica come profezia di quanto avverrà alla fine, nell'ultima grande
tentazione sulla croce. La sua vita si svolge tra due tentazioni, ma è tutta
posta sotto il segno della prova.
È pure molto interessante il brevissimo episodio dell'evangelista
Marco
sulle tentazioni di Gesù nel deserto, un po' diverso dai racconti di
Matteo e di Luca:
«Subito dopo, lo Spirito lo sospinse nel deserto e vi rimase
quaranta giorni, tentato da satana; stava con le fiere e gli angeli lo
servivano» (Marco 1, 12-13). Due versetti scarni,
misteriosi, e tuttavia ricchi di simboli e di allusioni.
Il primo personaggio è Gesù, posto al centro della
narrazione; il secondo è lo Spirito che lo sospinge (non solo lo conduce); il
terzo è satana; il quarto sono le fiere e il quinto gli angeli.
Dunque, in poche righe vengono descritti il cielo, la terra,
l'inferno, ed è raro che nei testi evangelici ci sia una simile ricchezza di
personaggi terrestri, infraterrestri, uomini, animali.
Ai cinque personaggi va aggiunto chiunque ascolta queste
parole, chiunque le vive, e perciò siamo anche noi personaggi del racconto.
Abbiamo già considerato la circostanza temporale dei quaranta
giorni e il luogo dove il fatto avviene, il deserto.
C'è però un'espressione assai significativa: Subito dopo.
Marco usa spesso questo avverbio: «Subito dopo, uscendo dall'acqua, Gesù
vide aprirsi i cieli» (1,10);
Simone e Andrea, chiamati da Gesù «subito, lasciate le reti, lo
seguirono» (1,16); Gesù vide Giacomo e Giovanni e «subito li chiamò» (1,20);
«e subito era nella sinagoga» (1, 23); «e subito, usciti dalla sinagoga,
entrarono nella casa di Simone» (1,39).
La versione italiana della Bibbia CEI ha per lo più
trascurato tale avverbio, che invece è chiarissimo e puntualissimo nel testo
greco. Che cosa significa "subito"? Certamente indica una modalità temporale:
immediatamente, senza perdere tempo, senza por tempo in mezzo, repentinamente,
in fretta. Ed essendo tanto ripetuta vuole sottolineare pure il modo dell'azione: una successione di azioni rapide compiute da qualcuno che agisce con
decisione, con energia, con forza; non azioni fiacche, trascinate, stentate.
Un tale modo di agire è caratteristico delle azioni fatte
sotto l'impulso dello Spirito santo, ed è ciò che l'evangelista intende
esprimere.
Infatti dice che lo Spirito lo sospinse. L'originale
greco ha una parola più pregnante: «Lo Spirito lo gettò fuori nel deserto». Il
«gettar fuori», per chi ha familiarità con la Scrittura come l'aveva Marco,
ricorda Adamo cacciato dal giardino, buttato fuori nella steppa del luogo
incolto. Gesù dunque ripercorre, nella forza dello Spirito, il cammino faticoso
dell'umanità per redimerla, per rendersi solidale con l'uomo cacciato dall'Eden,
quasi volesse dire all'uomo: lo sono con te, nel luogo della tentazione, della
prova, nel luogo del silenzio dove si gusta e si ritrova Dio.
«Stava
con le fiere» è un'altra parola misteriosa. Nel contesto della Bibbia sta a significare un armonioso convivere con le forze brute della natura e con gli animali cosiddetti feroci, ossia l'aver riconquistato quell'armonia dell'uomo con la natura che si era perduta con il peccato. Celebre in proposito il brano di Isaia: «Il lupo dimorerà con l'agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto... il bambino metterà la mano nel covo di serpenti velenosi...» (cfr. Isaia 11, 6 ss.).«Gli angeli lo servivano» è l'affermazione che abbiamo già trovato nel racconto parallelo di Matteo (4, 11).
È la pienezza di comunicazione tra cielo e terra, in cui al centro c'è Gesù. Scrive l'autore della Lettera agli Ebrei: «Quando Dio introduce il primogenito nel mondo, dice: "Lo adorino tutti gli angeli di Dio"» (1,
6).
Gesù nel deserto viene servito dagli angeli come il Figlio, il primogenito; colui che si è umiliato sotto la tentazione è riconosciuto Figlio di Dio, entra in
armonia con il cosmo e per questo gli angeli lo servono.
Qui Gesù è simbolo di ogni uomo che, avendo attraversato il crogiolo della prova, è riconosciuto figlio e riacquista il dominio di sé, delle forze oscure della
natura e delle forze oscure della propria psiche, delle forze
distruttive che si agitano in lui, e convive armoniosamente con esse, in
familiarità con Dio, con gli altri uomini, con gli angeli.
Le tentazioni di Gesù sulla croce
L'ultima grande prova di Gesù ci aiuterà ancora meglio a capire la prima.
Gesù è sulla croce: «TI popolo stava a vedere, i capi
invece lo schernivano dicendo: "Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto". Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli
dell' aceto, e dicevano: "Se tu sei il re dei Giudei,
salva
te stesso". C'era anche una scritta, sopra il suo capo:
"Questi è il re dei Giudei". Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava:
"Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!"» (Luca 23,35-39).
Notiamo il ritorno del numero tre: tre le tentazioni nel
deserto, all'inizio - ripeto -
della vita pubblica di Gesù, e tre le provocazioni che
rappresentano la voce di satana, rivolte a Gesù quando ormai sta per morire.
- «Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: "Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto"» (v. 35).
- «Se tu sei il re dei Giudei»
- gridano i soldati - «salva te stesso» (v. 37).- E il malfattore: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!» (v. 39).
È facile intuire l'acutezza, la drammaticità di tali provocazioni. Nel deserto il diavolo aveva cercato di farlo
desistere dal suo programma di Figlio obbediente pienamente al Padre; ora viene
tentato nella sua stessa missione, nel programma che aveva scelto, viene
invitato ad approfittare del suo potere per non morire: Forza, approfitta del
tuo potere! Mostra se lo hai davvero, se vuoi che ti crediamo, se vuoi che
crediamo al tuo Vangelo, sàlvati!
Gesù è tentato in ciò che più gli sta a cuore, è tentato
nella sua opera che consiste nel dare la fede. Se accetta di scendere dalla
croce, la gente griderà al miracolo e crederà in Dio!
Terribile questo sospetto che satana vuole insinuare in Gesù.
Ma se scende dalla croce, come mostrerà l'immagine di un Dio
che sceglie la morte per amore dell'uomo? Darà, è vero, l'immagine di un Dio
potente, un Dio del successo, un Dio di cui ci si può servire per nutrire le proprie ambizioni; tuttavia non rivelerà più
l'immagine - inedita in tutta la storia delle religioni e che l'uomo da solo non
riuscirà mai a pensare - del Dio che serve, che ama l'uomo
fino a spogliarsi di tutto per suo amore e ad accettare l'annientamento di sé.
E Gesù, naturalmente, non scende dalla croce. Così vince,
anzi vince fin dal primo momento delle tentazioni nel deserto, quando aveva
citato i passi della Scrittura che enunciano l'assoluto primato di Dio e della
sua Parola.
Tempo di lotta nello Spirito
Gesù ha vissuto e ha vinto le tentazioni per insegnarci che
la vita cristiana è, di per sé, una lotta seria, pericolosa e il suo esito è
incerto.
Per questo la Chiesa, durante il tempo liturgico che viene
chiamato Quaresima, vuole fare recuperare il senso della vita come difesa
dalla tentazione, invitandoci alla vigilanza. Nel Nuovo Testamento ritorna
frequentemente l'esortazione: «Siate vigilanti!». Concretamente vigilanza
significa sobrietà, astinenza, capacità di rinunciare a quelle cose che rendono
ottusi e sordi alla parola di Dio ponendoci in balìa delle tentazioni.
Il periodo della Quaresima, infatti, è tutto teso al mistero
centrale della Pasqua, mistero al quale si è stati associati con il Battesimo e
che si può penetrare sempre più profondamente mediante la quotidiana conversione.
Le opere suggerite dalla Chiesa per il cammino della
Quaresima, le opere che esprimono la vigilanza, lo stare in guardia dal nemico,
sono la preghiera, il prolungato ascolto della Parola soprattutto
nella liturgia, il silenzio e il raccoglimento, il digiuno
e l'ascesi.
Noi percepiamo una certa difficoltà sentendo la parola
digiuno, una difficoltà che forse trova un appoggio in un testo del profeta
Isaia:
«Non digiunate più come fate, oggi,
così da fare
udire in alto il vostro chiasso.
E forse come questo il digiuno che io
bramo,
il giorno in cui l'uomo si mortifica?
Piegare come un
giunco il proprio capo,
usare sacco e cenere per letto,
forse
questo vorresti chiamare digiuno
e giorno gradito al Signore?
Non è piuttosto questo il digiuno che voglio:
sciogliere le catene.
inique,
togliere i legami del giogo,
rimandare liberi gli
oppressi
e spezzare ogni giogo?
Non consiste forse nel
dividere il pane con l'affamato,
nell'introdurre in casa i miseri,
senza tetto,
nel vestire uno che vedi nudo,
senza distogliere
gli occhi da quelli della tua carne?» (58,
4b-7).
Il profeta avverte che il Signore vuole il digiuno della carità.
Indubbiamente scopo del digiuno è l'amore, la carità
verso tutti i fratelli perché carità è la pienezza della vita cristiana e il suo
esercizio è un modo splendido di prepararsi alla Pasqua.
Tuttavia il digiuno corporeo, fisico, ha un'importanza reale,
pur se subordinata.
Sant'Ambrogio, poco più di 1600 anni fa, scriveva: «Verrà per
noi il giorno della festa e già si avvicina (probabilmente si era all'inizio di
una Quaresima)... Nostra vittoria è la croce di Cristo, nostro trionfo è la
Pasqua del Signore Gesù. Ma Cristo prima ha combattuto per vincere, non perché
avesse bisogno di combattere ma per insegnarci il modo di combattere. La nostra
lotta è il digiuno. Anche il Salvatore digiunò... e mise innanzi il digiuno per
spezzare i lacci del tentatore». E poi continua, esaltando il significato
ascetico cristiano del digiuno: «Grande è la forza del digiuno! E una lotta
tanto meravigliosa che il digiunare piacque allo stesso Cristo; tanto efficace
da innalzare gli uomini fino al cielo... Che cosa è infatti il digiuno se non la sostanza
e il ritratto della vita celeste? Il digiuno è ristoro dell' anima, cibo
spirituale, vita degli angeli, morte del peccato, annientamento dei delitti,
mezzo di salvezza, radice della grazia, fondamento della castità» (dal
trattato Elia e il digiuno, nn. 1.2.4).Di fronte a questa esortazione noi ci chiediamo: che
significato ha esattamente per noi e in che cosa consiste il digiuno quaresimale
che siamo chiamati a vivere più intensamente, benché la Chiesa abbia nel nostro
tempo ridotto le esigenze rigorose del passato?
Noi già comprendiamo il significato caritativo e sociale del
digiuno: dobbiamo digiunare anzitutto per i fratelli che hanno fame, perché,
sottraendo qualcosa a noi, si provveda alle tante e gravi necessità di nazioni e
popoli in povertà. TI motivo caritativo suscita le grandi collette quaresimali
della carità per le missioni, per la fame, per i poveri.
L'aspetto sociale del digiuno ha poi un suo senso di dignità
e di misura: in un mondo segnato dalla miseria, non è giusto esagerare nell'uso
di cibo e delle comodità. Dobbiamo però recuperare l'utilità del digiuno per noi,
l'utilità propriamente ascetica per l'esercizio della nostra santificazione.
Come è possibile, in una società come la nostra, parlare
ancora di pratiche penitenziali come il digiuno?
Per rispondere, occorre riflettere che il digiuno fisico ha
una vasta applicazione e, con un po' di buona volontà, possiamo fargli posto
nella nostra esperienza quotidiana.
Il digiuno del cibo o della lingua può riguardare evidentemente i pasti, rinunciando ogni tanto a un pasto o riducendolo al minimo. Se ci pensiamo bene, esso riguarda pure le molte cose voluttuarie a cui ci siamo fin troppo abituati: le tante soste al bar senza un motivo reale, ad esempio; il fumo, i gelati; i frequenti caffè durante la giornata. Se in questo campo facciamo qualche rinuncia non ci farà male e ci ricorderemo che stiamo vivendo un cammino con Gesù verso la croce e verso la Pasqua.
Il digiuno degli occhi o delle immagini: è un'altra
forma di digiuno assai importante per il nostro benessere spirituale.
Durante la Quaresima, dovremmo saper reagire a una certa
epidemia di quella malattia che si chiama «videodipendenza». E la mania di voler
vedere tutto; è la televisione aperta per ore e ore in tutte le case, senza
alcun rispetto del silenzio, della tranquillità, senza tener conto dei ragazzi e
dei bambini. Talora mi capita, visitando qualche malato o in occasione di una
visita pastorale, di entrare nelle case e di trovare la televisione accesa
mentre nessuno se ne accorge: sembra così ovvio l'accenderla che non viene
nemmeno l'idea di spegnerla per l'arrivo di un ospite!
Tutti noi siamo convinti che l'uso indiscriminato della
televisione, specialmente nei riguardi dei ragazzi e dei bambini, è
assolutamente fuori misura, è una forma di indigestione, di diseducazione alla
quale dobbiamo reagire, imparando a scegliere e a discernere. Se cominceremo a
farlo, sfuggendo alla tentazione di pensare che sia troppo strano o troppo.
puerile, ci accorgeremo che ha un'incidenza sulla nostra vita, sulla preghiera,
sui nervi, sulla disciplina dei sensi, della fantasia e dell'immaginazione,
assai più grande di quanto crediamo. Si tratta di piccole cose da cui però
dipendono le grandi, da cui dipende la capacità delle famiglie di saper educare
i figli, e non semplicemente concedere tutto, senza discriminazione.
Il digiuno può essere applicato quindi a molti elementi della
nostra vita quotidiana e può essere vissuto con semplicità da ciascuno di noi.
Se poi aggiungeremo dei momenti di raccoglimento, di
solitudine, di preghiera più intensa, vedremo che tutte queste cose si collegano
e gradualmente creano quella disciplina dello spirito che è l'ambiente, il
contesto necessario per una vita davvero spirituale.
Allora la carità, l'amore del prossimo saranno vissuti a
partire da un certo rigore dello spirito che darà maggiore verità ai nostri
gesti di amore; li renderà più duraturi, più sinceri, più forti, più capaci di
superare le difficoltà e di oltrepassare i momenti di noia o di stanchezza
perché nasceranno da una disciplina interiore coltivata con assiduità e con
coraggio.
Una disciplina che tempra l'uomo interiore e lo rende pronto
alla lotta della vita, a fare della vita un atto reale di servizio e di
disponibilità che arriva, nella Chiesa, fino alla persecuzione e al martirio.
La conflittualità permanente della vita cristiana
-
Una parabola evangelica ci presenta, a proposito della lotta spirituale, la concorrenza spietata tra il buon grano e la zizzania:- Il termine "prova" ha un vocabolario ricchissimo nella
versione greca del Nuovo Testamento e questo fatto è già significativo.
- Potremmo pensare alle tante prove vissute da Gesù, oltre alle tentazioni proprie del diavolo.
- Prove personali. I farisei domandano un segno dal cielo e Gesù «gemendo dal profondo dell' anima, disse: "Come mai questa generazione domanda un segno?"» (Marco 8) 12). Quando viene portato a Gesù l'epilettico indemoniato che i discepoli non hanno potuto guarire, egli esclama: «Generazione incredula... fino a quando sarò in mezzo a voi? Fino a quando dovrò sopportarvi?» (Marco 9) 19). E strano sentirgli dire: Ne ho abbastanza di voi. Il brano più sconvolgente è in Marco 14) 33-34, quando Gesù si avvia verso il monte degli Ulivi, giunge in un luogo chiamato Getsémani, prende con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e poi «cominciò a provare paura e angoscia. E disse loro: "La mia anima è triste da morirne; restate qui e vegliate"». Gesù è entrato nel momento in cui si vorrebbe abbandonare tutto e domanda a noi, attraverso la richiesta fatta a Pietro, Giacomo e Giovanni, di non lasciarlo solo, ma di condividere in qualche modo la sua prova.
- Prove politiche e sociali. Gesù ha avuto contro tutte le autorità. Nessuna lo ha capito veramente e fin dall'inizio i capi politici e religiosi hanno avvertito nei suoi confronti almeno del disagio. Egli non ha nulla contro l'autorità, non si avvale mai della sua popolarità per mettere la gente contro di essa, non disobbedisce alle leggi. La malevolenza nei suoi riguardi e che porterà i capi alla decisione di crocifiggerlo è inspiegabile, e va vista alla luce del piano divino di salvezza. Comunque Gesù non si lascia fermare dalle autorità; per esempio, allorché, al termine del suo difficile discorso nella sinagoga di Cafarnao, viene cacciato fuori dalla città e condotto sul monte per essere gettato dal precipizio, «passando in mezzo a loro, andò per il suo cammino» (Luca 4, 30).
-
Prove familiari. I fratelli e i parenti di Gesù non lo capiscono e non gli danno appoggio né consolazione. Quando sentono dire che, a causa della grande folla che lo cercava, non aveva neppure il tempo per mangiare, vanno a prenderlo pensando che fosse fuori di senno (cfr. Marco 3, 20-21).Come affrontare il combattimento spirituale
Per affrontare e vivere nella quotidianità il combattimento spirituale proprio di una fede adulta, occorre anzitutto accogliere fino in fondo il discorso di Gesù sul regno di Dio, e accoglierlo come logica divina, non semplicemente come nudo fatto. Scrive san Paolo alla C9munità di Corinto: «La parola della croce è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, è potenza di Dio» (1 Corinzi 1, 18). E una parola capace di dividere la gente, di far sì che certe persone alzino le spalle e la rifiutino, mentre altre giungano ad assimilare il messaggio evangelico.
Ci lasciamo aiutare dalla figura di Pietro che non accetta
il mistero della croce. Pietro è colui che all'inizio alza le spalle e che
solo dopo la morte di Gesù lo comprenderà diventando apostolo, martire, roccia della
Chiesa. La fatica vissuta da Pietro è simbolo di tutte le nostre fatiche nei
confronti del combattimento, della lotta spirituale. Una fatica provata anche da
Paolo: quando cominciò a predicare, si limitò a parlare di Gesù come un uomo
straordinario, che faceva del bene, che risanava, ma trascurava il discorso
della croce. Infatti ad Atene, luogo di cultura raffinata, si, esprime in modo
saggio, filosofico, senza nominare mai le difficoltà della vita cristiana,
l'impegno a entrare nel mistero della croce. Il suo discorso, però, è un grande
fallimento; lascia Atene, si reca a Corinto con il cuore amareggiato e deluso e
finalmente intuisce di aver sbagliato nell' emarginare il centro del Vangelo.
Così, la sua prima Lettera ai Corinzi è uno splendido inno alla sapienza della
croce.
Sempre a proposito di Pietro, leggiamo in Marco:
«Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarea di Filippo; e per via interrogava i suoi
discepoli dicendo: "Chi dice la gente che io sia?". Ed essi gli risposero:
"Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti". Ma egli replicò:
"E voi chi dite che io sia?". Pietro gli rispose: "Tu sei il Cristo". E impose
loro severamente di non parlare di lui a nessuno. E cominciò a insegnare loro
che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli
anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre
giorni, risuscitare.
Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo
prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i
discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: "Lungi da me, satana! Perché tu non
pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini"» (Marco 8, 27-33).
L'episodio è diviso chiaramente in due parti: la prima comprende le domande di Gesù ai discepoli; la seconda, il discorso della croce fatto da Gesù e la reazione negativa di Pietro.
- Il
contesto geografico del brano di Marco ci è dato rapidamente: Gesù parte, con i discepoli, verso i villaggi intorno a Cesarea di Filippo. Una zona che non è nominata altrove nei vangeli, e abitata, almeno sembra, da pagani. Gesù non è conosciuto in quei luoghi e nessuno si accorge di lui. Per questo può tranquillamente occuparsi dei suoi discepoli dedicandosi alla loro formazione.- L'interrogazione. Gesù li forma non solo attraverso insegnamenti, ma con esercizi pratici, facendo emergere da ciascuno degli apostoli qualcosa di importante. Qui, fa una domanda decisiva: «Chi dice la gente che io sia?» (v. 27).
- La risposta evoca alcune figure di uomini di Dio, persone che parlano in nome del Signore, come appunto Giovanni Battista, Elia, altri profeti. La gente interpreta giustamente Gesù, secondo una categoria religiosa e profetica: è un uomo che è tra noi in nome di Dio.
- La replica. Egli tuttavia insiste: «Ma voi
chi dite che io sia?» (v. 29). Fin dove giunge, cioè, la vostra
conoscenza di me? Possiamo pensare che alla nuova domanda segua un silenzio un
po' imbarazzato, timoroso, da parte degli apostoli. A un certo punto, però, c'è
la folgorazione di Pietro: «Tu sei il Cristo». Gli altri sono profeti parziali,
mediatori per tempi contingenti della storia; tu sei il mediatore assoluto, tu
sei la chiave della storia, sei colui che riassume in sé tutta la storia
precedente e spiega quella che verrà.
La risposta di Pietro è altissima, è un grande atto di fede.
Gesù però non è soddisfatto. Non nega l'affermazione, ma vuole che non si parli
di lui prima che abbia chiarito bene che cosa si deve intendere dicendo: "il
Cristo". Viene alla mente il discorso della Montagna: «Non chiunque mi dice:
Signore, Signore, entrerà nel
- «Cominciò a insegnare che il Figlio dell'uomo
doveva molto soffrire» (v. 31).- E «poi venire ucciso». Gesù viene addirittura eliminato, e la sua missione si chiude così.
«E, dopo tre giorni, risuscitare». Ora il discorso è difficilissimo e travalica tutte le esperienze possibili. Perché soffrire tanto per poi risuscitare? Che cosa vuol dire risuscitare?
- Gesù
«faceva questo discorso apertamente» (v.
32). Le parole riversate nei
cuori smarriti dei discepoli, fanno loro intendere che forse il Maestro
aveva già accennato velatamente al tema. Cominciano a capire, ad esempio, le
parabole precedenti: il regno di Dio è come un seme che viene calpestato dalla
gente, soffocato dalle spine, beccato dagli uccelli. Gesù parlava della Parola,
ma parlava anche di sé, della sua via alla croce. Il Regno dei cieli è come un
granello di senapa, che nessuno considera, che si butta via, e a un tratto
cresce, inaspettatamente. Gesù parlava di sé (cfr. Marco 4,
1-7.30-32).
Il discorso del regno di Dio si va chiarendo: è il discorso
di Cristo, Messia, Signore, Salvatore, che passa attraverso la povertà e
l'insignificanza spiegate in riferimento al Regno.
Gesù riprenderà continuamente, nel resto della sua vita,
questo tema e lo riprenderà dopo la sua morte, in particolare nel vangelo di
Luca parlando ai discepoli di Emmaus: «O stolti e tardi di cuore a credere a
quanto avevano detto i profeti! Non bisognava che il Cristo soffrisse ed
entrasse nella sua gloria? E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò
loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui»
(Luca 24,25-27).
Non è dunque un discorso di poche parole: soffrire, essere
respinto, venire ucciso, risorgere. E sintetico e si può allargarlo richiamando
l'insegnamento di Mosè e dei profeti. E il discorso cristiano per eccellenza:
tutta la Bibbia è da leggere come riassunta in Gesù crocifisso e risorto.
«"Queste erano le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si
compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei
Salmi". Allora aprì loro la mente all'intelligenza delle Scritture e disse:
"Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo
giorno"» (Luca 24,44-46). Ecco il modo in cui le Scritture presentano Gesù. Ecco che cosa significano le
parole: «Faceva questo discorso apertamente».
La Chiesa primitiva lo riprenderà,
Paolo lo ripeterà, e costituisce l'affermazione centrale del Credo: «Per
noi si fece uomo, patì sotto Ponzio Pilato, morì, fu sepolto, risuscitò secondo
le Scritture».
Quando noi diciamo: Gesù è la soluzione di tutti i problemi
umani, forse non comprendiamo davvero. Gesù risolve i problemi umani mediante la
sua sofferenza, la sua morte, la sua risurrezione, e
solo se lo seguiamo su questa strada con fiduciosa
dedizione possiamo dire con verità quella espressione.
-
«Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo». Che Gesù venga rimproverato da un apostolo è un caso unico nei vangeli. Un episodio simile accade nella casa di Betania, quando Marta rimprovera il Maestro perché la sorella non l'aiuta; ma Marta, in quel momento, è nervosa, irritata e butta fuori ciò che le viene in mente al primo colpo. Pietro, invece, no; Pietro ha fatto una professione chiarissima di fede. Tuttavia non fino a quel punto.- «Ma Gesù, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò
Pietro e gli disse: "Lungi da me, satana!"» (v. 33).
È inaudito che nei vangeli il Signore chiami qualcuno
"satana". Non l'aveva mai fatto, neanche con i più grandi peccatori, neanche con
gli scribi e i farisei. La sua è una parola incredibile, tagliente.
Che cosa intende dire? Intende dire che Pietro, respingendo
il discorso della croce, rifiuta di aprire all'umanità le vie della vita.
Proprio come satana che non vuole il bene dell'uomo, perché è dal principio
omicida, invidioso, è colui che apre all'uomo le vie della morte.
C'è di più: tu, Pietro, -
continua Gesù - credi di interpretare Dio, ma il mio Dio,
il mio Padre ama l'uomo fino a dare il suo Figlio nella morte. Dio Padre ama
tanto l'uomo da dare il suo Figlio anche se l'uomo lo respinge, ama tanto l'uomo
da offrirgli ugualmente il perdono.
Qui è in gioco l'immagine stessa di Dio; un'immagine che in
Pietro è ancora un po' falsata, caricaturata, confusa, e che pure in noi, di
fatto, è un po' falsata portandoci spesso a conclusioni sbagliate sulla vita.
Noi, che professiamo nel Credo «Dio Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra», non abbiamo la vera
immagine di Dio fino a quando non abbiamo fatto questo passo
cristiano-evangelico dell' accoglienza della via della croce.
- «Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli
uomini». Viene richiamata la grande parola di Isaia: «I miei pensieri
non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie» (55, 8).
Pietro vuole distorcere le vie di Dio, gli dice come deve
essere, come si aspetta che sia Dio. Ma è Dio che si rivela all'uomo: lo sono
per te, sono con te, io sono Gesù crocifisso e risorto.
Dio si identifica con la figura del Crocifisso risorto, non
con un qualunque idolo vittorioso, con un qualunque simbolo di benessere, con
una qualunque promessa pseudo-messianica. Dio si identifica solo con Gesù,
crocifisso, morto e risorto.
Il salto di qualità nella fede, richiesto a Pietro, è
proposto a ciascuno di noi. L'esistenza cristiana non significa offrirsi allo
scacco, all'insuccesso, per un certo gusto masochistico della sofferenza. Esige
invece una completa disponibilità del cuore, che accetti di essere rifiutata
dagli altri e sia perseverante fino all'ultimo. Ne deriva che il cristiano non è
coinvolto nella passione di Gesù per il mondo solo perché aiuta chi soffre,
perché serve, perché è efficiente nella lotta contro l'ingiustizia, ma perché è
disposto a lasciarsi mettere in questione come persona, a lasciarsi travolgere
dalla vocazione evangelica fino a diventare egli stesso Parola rifiutata, messa
a tacere.
Il massimo servizio che il cristiano può compiere è
quello di Gesù: offrire la disponibilità di Dio per l'uomo, vivere la
disponibilità dell' ascolto e dell' amore accettandone tutte le conseguenze. In
altre parole, il sacrificio cristiano è lasciarsi versare in libagione come scrive Paolo nella seconda Lettera a Timoteo (4,6) -, è
l'offerta della propria vita e del proprio impegno. Questo paradosso, difficile
da esprimere, e delle cui formulazioni non dobbiamo mai abusare per facili
ragionamenti, non è frutto dei nostri sforzi, ma è suscitato in noi dallo
Spirito. E va però chiesto nella preghiera, nella supplica, nella quale soltanto
giungiamo a comprendere qualcosa della passione di Gesù), della sua vita
attraversata da tentazioni e da prove. E la tappa decisiva della conversione,
che ci permette di entrare nella passione del mondo, dando un senso alle fatiche
dell'uomo per migliorare il cammino dell'umanità. È il frutto del quotidiano combattimento spirituale.
L'armatura di chi lotta
La fragilità e la vulnerabilità della creatura umana sono
tali da rendere necessaria un' armatura per chi vuole impegnarsi nella
lotta contro il nemico di Dio, l'avversario del Vangelo.
Consideriamo un testo fondamentale di san Paolo nella
Lettera agli Efesini:
«Attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza.
Rivestitevi dell' armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo.
La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma
contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di
tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti.
Prendete perciò l'armatura di Dio, perché possiate resistere
nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. State
dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza
della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare
il vangelo della pace. Tenete sempre in mano
lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i
dardi infuocati del maligno; prendete anche l'elmo della salvezza e la
spada dello Spirito, cioè la parola di Dio. Pregate inoltre
incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito,
vigilando a questo scopo con ogni perseveranza e pregando per tutti i santi e
anche per me, perché quando apro la bocca mi sia data una parola franca per far
conoscere il mistero del vangelo, del quale sono ambasciatore in catene, e io
possa annunziarlo con franchezza come è mio dovere» (6, 10-20).
È una pagina molto densa e con diverse metafore e bisogna capire quali realtà voleva annunziare attraverso di esse alla comunità di Efeso, una comunità entusiasta per quanto Paolo aveva detto nei capitoli precedenti della Lettera e che si chiedeva: come fare per vivere davvero secondo il piano di amore salvifico di Dio?
- Paolo allora inizia a rispondere con
due esortazioni: fortificatevi nello Spirito e rivestitevi dell'
armatura di Dio.
L'esortazione ad armarsi la troviamo anche in altre due
lettere paoline (Romani 13, 12 e II Corinzi 10,4), ma qui viene
svolta maggiormente la metafora della panoplia, dell' armatura completa
del servo di Dio, di colui che vuole lottare come e con Gesù.
- Nella seconda parte del testo, ci viene spiegato, il motivo delle due esortazioni. Dobbiamo armarci appunto perché la nostra lotta è una lotta spirituale, contro i principati, le potestà, gli spiriti maligni. Possiamo tradurre facilmente queste espressioni in una realtà comprensibile perché essa è di evidenza quotidiana. Dobbiamo vivere in un' atmosfera lo spazio tra terra e cielo invasa da elementi maligni, contrari al Vangelo, nemici di Dio. L'atmosfera in cui viviamo è satura di potenze contrarie a Cristo e quindi la lotta si annuncia difficile. Questa mentalità, questa atmosfera che è frutto in parte della potenza del male e in parte dell'uomo soggiogato dalla potenza del male, crea una situazione nella quale siamo immersi e che ci minaccia da ogni lato.
- In una terza parte, l'armatura viene descritta con sei
meta/ore: la cintura, la corazza, i calzari, lo scudo, l'elmo, la spada.
Prima di esse però c'è un'altra esortazione: «State in piedi», in atteggiamento
di prontezza, come una persona pronta alla battaglia.
La prima metafora è la cintura della verità. Quale
verità è arma per noi? Per capire bene bisogna notare che questa metafora e pure
le altre sono attinte largamente dall'Antico Testamento. Chi scriveva questo
brano conosceva a memoria interi passi e ne supponeva la conoscenza nei suoi
lettori.
Soprattutto due brani sono utilizzati per la descrizione:
il primo è tratto da Isaia 11, il germoglio di Jesse, del quale viene descritta la veste, il modo
di presentarsi e di combattere; il secondo è tratto da Isaia 59, in cui
si descrive, a un certo punto, l'armatura di Dio. Nell' Antico Testamento,
quindi, è l'armatura di Dio stesso, oppure dell'inviato, del prediletto di Dio,
a essere descritta. .
Qui l'armatura di Dio è trasferita al servo di Dio, a colui
che segue Gesù. Dice Isaia 11, 5: «Cintura dei suoi fianchi è la fedeltà»
(trad. della CEI); nella Bibbia dei LXX il vocabolo usato è alétheia, la
verità, e il testo greco lo riporta esattamente.
La verità di cui si cinge come di una veste stabile colui che
combatte è la coerenza; quella fedeltà che è coerenza piena, stile
coerente di vivere e di agire.
Per poter combattere contro l'atmosfera maligna, l'atmosfera
pestifera nella quale viviamo, occorre essere
armati di una profonda coerenza tra ciò che proclamiamo e ciò
che dobbiamo internamente sentire e vivere tra noi.
È vero che un profondo confronto tra coerenza interiore ed
esteriore farà talora riconoscere di essere lontani da ciò che diciamo, ma
l'umiltà del riconoscerlo è già un aspetto della coerenza, è un modo di mostrare
che desideriamo averla.
La metafora seguente è la corazza della
giustizia. In Isaia 59, 17 si descrive
l'armatura di Dio. Dio si è rivestito di giustizia come di una corazza.
La giustizia è espressa come l'attività di Dio che salva i
poveri e umilia i peccatori. Dio che impetuosamente compie le sue opere, che è
salvezza e punizione. Nella nostra situazione, dovremmo tradurla come il
partecipare allo zelo di Cristo per la giustizia del Padre. Questa
corazza che ci cinge completamente, che ci difende, è il rivestirci di quei
sentimenti che fanno gridare a Cristo per le strade di Palestina: «A Dio ciò che
è di Dio»; che gli fanno proclamare la giustizia del Padre e, come giustizia,
l'opera di salvezza per chi si pente e il castigo per chi non si pente. Per noi,
il partecipare all'intimo zelo di Cristo per la giustizia del Padre, è la
corazza che ci cinge, ci avvolge, ci difende dai nemici.
La terza metafora: calzati i piedi di alacre zelo per
il Vangelo della pace, descrive una situazione. Pronti a partire per l'annuncio
del Vangelo della pace. La realtà della metafora è la prontezza a portare
il Vangelo: «Come sono belli i piedi del messaggero che annunzia la pace,
messaggero di bene che annunzia la salvezza...» (Isaia 52, 7).
Fuori di metafora viene indicato l'ardore, il
desiderio di predicare il Vangelo, sapendo che è benefico per gli uomini e che
porta loro la pace. Quindi anche la gioia di chi ha trovato il tesoro (la donna
che ritrova la dramma e chiama le vicine piena di gioia: Luca 15, 8 ss.).
È una caratteristica importante del ministero del Vangelo,
soprattutto oggi, in cui il "pluralismo" quando diventa
pluralismo filosofico, culturale, religioso - sembra in
qualche modo togliere l'ardore di annunziare il Vangelo della pace.
Qualcuno vorrebbe addirittura sostituire e correggere
l'imperativo di Matteo: «Andate e predicate a tutte le genti» (Matteo 28)
19) con l'esortazione: «Andate e imparate da tutte le genti», perché ci sono
valori ovunque e - si dice - non
conta tanto portare il messaggio quanto ascoltare umilmente ciò che gli altri
hanno da dirci. Così si rischia di perdere l'ansia di predicare il Vangelo della
pace.
Ci chiediamo se ci sia una soluzione a tale difficoltà. La
soluzione c'è e non è certamente quella di abolire il pluralismo. Credo anzi che
quanto più cresce il dialogo, tanto più deve crescere l'approfondimento della
vita evangelica. Se le due realtà crescono insieme, allora è possibile ed è
facile conciliare un immenso rispetto per tutte le culture, razze, valori, con
un immenso ardore di portare il Vangelo, che è una proposta trascendentale, non
commensurabile con nessun altro valore ma capace di illuminarli e trasformarli
tutti.
Quarta metafora: in tutte le occasioni, impugnate lo scudo
della fede. I dardi infuocati lanciati dal maligno (l'espressione è presa
dal Salmo 11) sono la mentalità del mondo di peccato che, dal mattino alla sera
e dalla sera al mattino, ci circonda e ci invita a interpretare cose e
situazioni della nostra vita con metri esclusivamente psicologici, sociologici,
economici, assalendoci da ogni parte per toglierci il tesoro della fede.
Lo scudo per opporsi a tale mentalità è lo scudo della fede,
cioè la considerazione evangelica di tutta la realtà umana, continuamente
richiamata.
Quinta metafora: l'elmo della
salvezza, anzi l'elmo dell'opera salvifica, come dice il testo greco.
L'espressione è presa da Isaia 59, 17, e in Isaia vuol dire
che Dio è pronto a salvare. Il greco ha un verbo, déxasthe, che vuol dire
accettare l'elmo della salvezza: accettate l'azione salvifica di Dio in voi come
unica vostra protezione, unica vostra speranza; vi protegge il capo perché essa
è la cosa più essenziale.
Sesta metafora: la
spada dello Spirito che è la
parola di Dio. Cos'è la spada dello Spirito? Isaia 49, 2 parla di
«bocca come spada»; Ebrei 4, 12 parla di «spada come parola»; infine
Isaia 11, 4 dice che «con il soffio delle sue labbra ucciderà l'empio».
La parola di Dio non è qui il logos, cioè la
predicazione, ma il rema, cioè gli oracoli divini.
Penserei come «spada dello Spirito» non tanto la predicazione
di Gesù, ma la sua lotta contro satana, quando si difende citando gli oracoli di
Dio: «Sta scritto...»; gli oracoli di Dio furono per lui, e sono per noi,
difesa.
Allorché siamo assediati dalla mentalità del mondo che ci
vorrebbe fare interpretare tutte le cose in maniera puramente umana, dobbiamo
ricorrere ai grandi oracoli di Dio nella Bibbia per avere una parola di
chiarezza su queste cose e respingere le interpretazioni sbagliate della storia
del mondo e della nostra esistenza.
- Nella parte finale del brano si legge un' esortazione intensissima alla preghiera. Abbiamo detto che la caratteristica specifica della preghiera cristiana consiste nel fatto che essa parte da Cristo ed è mossa, guidata dallo Spirito. Bisogna pregare incessantemente, di continuo; il termine "preghiera" sta a indicare tutto il nostro rivolgerci a Dio e comprende anche la preghiera di domanda; il termine "supplica" nel Nuovo Testamento ricorre unito all' esperienza del digiuno, e sottolinea i momenti più intensi, più sofferti, più attivi, più sentiti da colui che prega.
Occorre inoltre vigilare nella preghiera affinché non sia
abitudinaria o una sorta di monologo con se stessi, ma consapevolezza di essere
davanti a Dio. E va fatta con perseveranza perché è una vera lotta da affrontare
con coraggio e con costanza.
Interessante l'invito di Paolo a pregare per tutti i
santi,cioè a sentirsi solidali con tutti coloro che combattono insieme a noi
per la fede.
Mi sembrano utili, a questo punto, quattro osservazioni.
- Anzitutto che noi ci troviamo in una situazione rischiosa; è rischioso e pericoloso vivere il Vangelo fino in fondo. Avere il senso del rischio, delle difficoltà è realismo, un realismo che ci permette di vedere le vie dell' avversario, le vie attraverso le quali il mondo è portato al male, ma sentendoci pieni della forza di Dio. Una profonda analisi e sintesi del mistero della perversione, fatta con l'aiuto della sacra Scrittura, ci mette davanti alle avversità senza paura perché sappiamo cogliere, insieme alla vastità del male, la potenza di Cristo che opera continuamente nella storia.
- Seconda osservazione: si tratta di una lotta che non ha né sosta, né quartiere, contro un avversario astuto e terribile che è fuori di noi e dentro di noi. Questo, oggi, lo si dimentica spesso, vivendo in un'atmosfera di ottimismo deterministico per cui tutte le cose devono andare di bene in meglio, senza pensare alla drammaticità e alle fratture della storia umana, senza sapere che la storia ha le sue tragiche regressioni e i suoi rischi i quali minacciano proprio chi non se l'aspetta, cullato in una visione di un evoluzionismo storico che procede sempre per il meglio.
- La terza osservazione: solo chi si arma di tutto punto potrà resistere, dal momento che il nemico si aggira attorno a noi per scoprire se c'è almeno un varco aperto, se c'è almeno un elemento mancante nell' armatura così da farci cadere nel combattimento.
- L'ultima osservazione, assai importante: tutte le armi, tutti gli elementi dell'armatura vanno continuamente affinati nell' esercizio della preghiera che non li supplisce - non supplisce lo zelo, l'impegno, lo spirito di fede, la capacità di donarsi -, ma è la realtà nella quale tutti sono avvolti e vengono ritemprati per la lotta.