Gianni
Zaccherini
RENDETE
PIENA LA MIA GIOIA
Lettura e
commento della LETTERA AI FILIPPESI
EDITRICE
MISSIONARIA ITALIANA 2004
Premessa
( Francesco Grasselli) Capitolo 1. Sia che io
viva, sia che io muoia (Fil 1, 1-30) Capitolo 2. Lo stesso
sentire che fu in Cristo Gesù (Fil 2, 1-30) Capitolo 3. Per
guadagnare Cristo (Fil 3, 1-21) Capitolo 4. Nel libro
della vita (Fil 4, 1-23) |
INDICE
DELLE "FINESTRE" Vi porto nel cuore. I cristiani e la «sfera affettiva» Umiltà, carità, unità. Perché le comunità cristiane non vadano in malora. «Lo stesso sentire» e il pluralismo. Un problema di grande attualità nella Chiesa e nel mondo Motivi di gioia. Mentre l'angoscia invade la vita |
L'inno cristologico (vv.
6-11)
L'inno contenuto in questi
versetti, come dicevamo sopra, ha una sua struttura logica che lo fa sussistere
in sé, anche scorporato dal contesto della lettera, ma nella lettera serve
sia a rivelare che ad esortare perché la vita nuova in Cristo con la sua logica
di imitazione è resa possibile dall'evento Cristo illustrato nell'inno.
Il
mistero del Cristo che l'inno ci presenta ha due facce: una prima, nei w. 2-8,
è il mistero della sua umiliazione; successivamente, nei w. 9-11
è
il mistero della sua esaltazione. Il Cristo visto nella sua spoliazione e
nella sua glorificazione.
Va
detto che l'inno è di non facile comprensione. Affermazioni che a prima vista
sembrano facili in realtà non lo sono. Hanno dato adito a molte discussioni da
parte degli interpreti e degli studiosi. Se si raccogliessero tutti i commenti
fatti all'inno, che portano ad affermazioni a volte perfino contraddittorie,
partendo dai tempi dei Padri della Chiesa fino ai nostri giorni, si
raccoglierebbe una piccola biblioteca. Cerchiamo, quindi, di cogliere il filo
conduttore del ragionamento di Paolo in quest'inno.
La preesistenza di
Cristo
v. 6: "[Abbiate
in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù] il quale, pur essendo
di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con
Dio... ".
Il
v. 6 ci presenta il Cristo nella sua condizione preesistente all'incarnazione.
Il Cristo che era di natura divina, dice il testo, non considerò un tesoro
geloso la sua uguaglianza con Dio, cioè non pretese di tenere solo per sé
questa uguaglianza con Dio o, meglio, non pensò di esaurirsi in essa.
Prima
della sua nascita umana
il Cristo era di natura divina, ma non è rimasto chiuso in questa dimensione
esistenziale che era appunto la sua Divinità. Non custodì con gelosia la
gloria
del suo essere Dio.
Questo
versetto è molto importante, perché ci troviamo di fronte a uno dei primi
tentativi che la comunità cristiana ha fatto per capire il mistero del Cristo
nella sua preesistenza; sforzo di comprensione che troverà la sua pienezza nel
prologo del vangelo di san Giovanni [che è almeno di quarant'anni posteriore
alla Lettera ai Filippesi, n.d.r.], dove troviamo la massima
illustrazione del mistero della preesistenza del Verbo nella gloria del Padre
prima dell'incarnazione.
Incarnazione,
passione e morte
Vv. 7-8:
" ... ma spogliò se stesso, assumendo
la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma
umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla
morte di croce".
Il
testo sottolinea che il
Cristo, già esistente come Dio, a un certo punto spogliò se stesso, si svuotò
della gloria che aveva nella comunione con il Padre divenendo simile agli
uomini, cioè facendosi uomo. È il mistero dell'incarnazione che rimarrà
sempre impenetrabile alla nostra conoscenza. Infatti, che Dio abbia potuto farsi
uomo lo possiamo dire in mille modi, ma comprendere le profondità di questo
mistero sarà sempre impossibile alla mente umana.
Ricordiamo
tutti, dal catechismo, che i misteri principali della nostra fede sono: Unità e
Trinità di Dio; Incarnazione, Passione e Morte di nostro Signore Gesù
Cristo. Misteri sommi, che rimarranno sempre insondabili all'intelligenza
dell'uomo. Li potremo credere, affermare, illustrare, indagare, ma comprenderli
nella loro profondità sarà sempre impossibile, tanto che ogni tentativo di più
acuta penetrazione di essi ha portato spesso nella Chiesa a dispute ed eresie.
Quasi tutte le eresie dei primi secoli ruotano attorno allo sforzo di
illustrare questi misteri.
Ad
ogni modo, con il v. 7 Paolo vuole illustrarci la reale umanità del Cristo.
Egli si è fatto veramente uomo. Occorre stare attenti al significato della
parola "simile" ("divenendo simile agli uomini'), su cui i
primi teologi cristiani hanno discusso all'infinito. Qui simile va inteso nel
senso di uguale. Non si tratta di una somiglianza esteriore, né di un
travestimento illusorio. Gesù fu vero uomo.
E
si è fatto uomo prendendo la condizione di schiavo: non
Dice
ancora il testo: "apparso in forma umana", cioè apparso come
uomo. L'espressione "in forma umana" si contrappone a quella del v. 6:
"di natura divina". I due poli del mistero del Cristo: la forma umana,
la natura divina.
Apparso
come uomo, presente nel mondo come uomo, "umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce". Questa
umiliazione, questo annientamento, questo ridursi a nulla, questo prendere
l'ultimo posto ha raggiunto forma suprema nella morte, ma non una morte
qualsiasi: la morte di croce. La sottolineatura della morte come morte di croce
ha due risvolti nel pensiero dell'inno: da una parte si ricollega al concetto di
schiavo (come si è detto sopra, proprio nella morte si è manifestata la
scelta di Cristo di prendere l'ultimo posto fra gli esseri umani, quello di
uno schiavo qualsiasi); dall'altra indica la violenza della morte. Cristo non
è morto per cause apparentemente naturali; assumendo su di sé una morte
violenta ha rivelato che in realtà ogni morte è una morte violenta.
"Facendosi
obbediente": è interessante questa parola che riassume in
qualche modo tutto il mistero del Cristo; tutta questa umiliazione è
un'umiliazione legata all'obbedienza di Cristo al Padre.
C'è
un mistero di obbedienza nel mistero del Cristo. L'obbedienza radicale del
Cristo, che si sottomette alla volontà del Padre, assumendo la natura umana e
giungendo fino a morire e a morire di croce, contraddice e annulla la
disobbedienza originaria di Adamo. Adamo non si assoggettò al comando di
Dio, Cristo viene e si assoggetta in tutta la sua vicenda al comando del Padre.
Mentre
la disobbedienza di Adamo, che nella sua intenzione era finalizzata alla propria
divinizzazione, procurò la morte, l'obbedienza del Cristo fino alla morte
invece procura la vita.
Rovesciando
radicalmente la scelta originaria dell'uomo, l'obbedienza nella morte procura
la vita. La morte del Cristo diventa così una morte salvifica nella quale si
compie il mistero di salvezza per ogni uomo. A questo punto ogni cristiano deve
rendersi conto che soltanto attraverso la partecipazione al mistero di
obbedienza della morte del Cristo può avere la glorificazione. Come per la
morte del Cristo si è avuta la salvezza di tutto il genere umano, così ogni
uomo passa attraverso la morte per ottenere la salvezza.
La glorificazione del
Figlio
v. 9: "per
questo Dio l'ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra
di ogni altro nome".
L'umiliazione
fino alla morte è la causa che genera l'esaltazione. L'esaltazione o innalzamento
poggia sull'abbassamento che Cristo ha accettato incarnandosi e che
ha portato all'estremo con l'obbedienza della croce. Giovanni nel suo vangelo
accosterà ancora di più i due termini: la crocifissione del Cristo è già la
sua glorificazione. "Quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a
me" (Gv 12,32): innalzato qui significa sia innalzato sulla Croce sia
glorificato.
Dio
l'ha glorificato e gli ha dato il nome "che è al di sopra di
ogni nome". Qual è il nome che Cristo ha ricevuto in questo mistero e
per questo mistero? Il nome di Kyrios, Signore. Cristo che si è
ridotto a nulla, alla morte dello schiavo, è diventato per questo il Signore,
il sovrano di tutte le cose, colui che ricapitola in sé tutto l'universo e ne
è la testa, il capo. Gesù
ha ricevuto questo nome proprio in virtù del suo annientamento.
Nel
linguaggio biblico il nome è tutt'uno con la persona e quindi dare il nome
significa mettere in evidenza la persona stessa. Aver ricevuto il nome di
Signore vuoi dire essere stato posto in una condizione di gloria e di
esaltazione suprema. Dire, dunque, "Gesù Cristo è il Signore"
diventa l'affermazione più alta e più sintetica della fede cristiana (cfr. At
2,36 e Rm 10,9).
La glorificazione del
Padre
Vv. 10-11: "Perché
nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto
terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a
gloria di Dio Padre".
Senza
entrare nei particolari, cari a molti commentatori, è importante dire che
Paolo elencando "nei cieli, sulla terra e sotto terra" vuole indicare
tutte le Potenze dell'universo. Esse sono state sottomesse a Gesù. Alle Potenze
che tengono schiavo il mondo è subentrato un Signore che ha la funzione di
liberare il mondo e l'uomo dalla schiavitù delle Potenze.
Dietro
il termine "Potenze" si nasconde tutto un universo, con Satana in
testa, che si oppone alla signoria di Gesù, alla quale tuttavia è già stato
sottomesso.
È
attuale e operante anche oggi il mistero delle Potenze! Non a caso viviamo in un
tempo in cui c'è un grande risveglio di attenzione a fenomeni magici,
nascosti, tenebrosi. È Satana il signore delle tenebre, mentre Gesù Cristo è
il Signore della luce. Come ci avverte tutto il Nuovo Testamento, ciò che è
fatto di nascosto è sotto il segno di Satana (cf. Mt 6,23; 1 Ts 5,5; 1 Gv
1,5-7,2,9-11).
A
questo Signore che ha sottomesso tutte le Potenze si innalza la proclamazione di
ogni uomo: "e ogni lingua proclami... ". È la confessione
ecclesiale e universale: Gesù è il Signore delle Potenze, è Colui che riceve
gloria da ogni bocca.
La
signoria universale del Cristo si risolve poi nella glorificazione del Padre:
"a gloria di Dio Padre". E qui trova conclusione la storia
della salvezza: Dio Padre che nell'umiliazione.;. esaltazione del Figlio, nella
sua morte e resurrezione, tutto ha posto sotto i suoi piedi facendolo Signore,
riceve poi da questo Figlio tutta la gloria. La gloria ritorna al Padre, da
cui è partita tutta la storia della salvezza. In questo mistero di rapporto
trinitario fra Cristo e il Padre nello Spirito - il Padre che consegna tutto
nelle mani del Figlio e il Figlio che gli riconduce, ricapitolandole, tutte le
cose, in un rapporto di reciproco infinito Amore - si consuma tutta la storia
della salvezza.